Io penso che la cultura politica in questo Paese stia cambiando, ma debba cambiare ancora.
Io penso che la crisi economica attuale non possa non richiedere un grande sacrificio comune, una limitazione, una revisione del proprio stile di vita.
Io credo che molti obiettivi imposti dalla “austerità” si sarebbero dovuti fissare e raggiungere gradualmente in passato: l'eliminazione dei privilegi, le riforme, il ripensamento dell'economia, la "lotta" all'evasione fiscale, la riscossa del “bene comune”.
Io temo che il concetto di “bene comune” possa essere frainteso. Io penso che il bene comune non debba essere il mezzo per giustificare un fine, ma il fine a cui tendere incessantemente. Penso che usare il “bene comune” come legittimazione universale non sia “bene comune”, ma un suo utilizzo strumentale.
Io penso che la democrazia sia un'invenzione geniale, ma che non funzioni senza l'offerta della concreta possibilità, a tutti, di partecipare. Penso che la democrazia sia una geniale invenzione, ma penso anche che l'unica democrazia attuale sia la democrazia sociale. Io penso che lo Stato sociale sia l'offerta, a chiunque, di potersi avvalere di uguali possibilità di partenza. Io penso che lo Stato sociale ponga gli uomini su un livello uguale di disposizione delle proprie abilità, che offra a ciascuno la facoltà di esprimere le proprie capacità, lasciando ai singoli il diritto di affermarle e la responsabilità di valutarle.
Al contrario, sono convinto che lo Stato a-sociale sia l'elevazione a sistema della natura egoistica dell'uomo. Penso che la cultura liberale, che la nostra Costituzione accoglie, non sia l'affermazione dell'onnipotenza dell'individuo sugli altri, ma il principio che fa convivere la libertà personale con quella altrui: penso che quanto più l'individuo è consapevole delle sue potenzialità, tanto più ammetterà e riconoscerà la stessa “onnipotenza” negli altri individui.
Io non penso che ciò che penso sia in contrasto con l'arcano concetto di “meritocrazia”. Io penso che il padre che sfama i figli fortunati e quelli sfortunati allo stesso modo non stia compiendo un innaturale atto di omologazione. Io penso che la garanzia di alcuni diritti non sia una “livellazione artificiale” e contro natura, ma che, se anche non esistono diritti innati, naturali, inalienabili degli uomini e delle donne, a maggior ragione è atto di grande civiltà che lo Stato e i cittadini si impegnino liberamente a CREARLI da sé.
Io non credo nell'omologazione, ma penso che nessuno possa esprimere la sua “grandezza” se è condannato a restare confinato nella “piccolezza”. Io penso che, prima di concludere fra due atleti quale sia il migliore, sia necessario almeno che l'uno e latro partano dalla stessa linea.
Io penso che l'istruzione sia l'angolazione della Terra da cui si osservano le abilità personali. Io so che l'istruzione è l'offerta di pari strumenti e pari condizioni iniziali e che l'intraprendenza, il talento, l'ingegno sono il modo con cui ciascuno, diversamente, ne dispone. Io penso che lasciare all'economia, alla condanna dell'immobilismo sociale, ai soli fattori esterni alle proprie capacità la determinazione della posizione sociale sia l'esatta negazione della meritocrazia.
Io non penso che la giustizia sociale debba essere di destra o di sinistra.
Non penso che l'attuale Governo sia per nascita un “governo dei poteri forti”, perché coloro che lo affermano dimenticano che ogni classe politica esprime “interessi” di classe, più o meno forti; ma penso che la politica, per sua natura, sia responsabile per le sue scelte anche delle conseguenze che non aveva previsto o, addirittura, aveva escluso.
In concreto, io penso che riformare l'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori in modo da impedire la reintegrazione nel posto di lavoro del lavoratore licenziato illegittimamente anche per (presunti) motivi economici paventi un rischio, instilli un dubbio: che fra due “interessi”, fra capitale e lavoro (come era d'uso qualche anno fa), la PERSONA del lavoratore possa essere considerata un "fattore di produzione". Io penso che, se anche questo Governo non intende promuovere affatto una simile idea, il rischio esista. Io penso che le migliaia di persone impiegate in società e imprese colpite dalla crisi potrebbero diventare il referente linguistico di quella espressione infelice ma efficace: «carne da macello».
Io credo che gravare sulle pensioni di certi lavoratori sia un attacco allo Stato sociale, perché il sistema previdenziale, per quei lavoratori, non è solo un criterio di uguaglianza sostanziale, ma anche un elemento di certezza psicologica, una rassicurazione, una aspettativa legittima.
Io penso tutto questo, e non penso di essere fazioso: penso che pensare alla «carne da macello» degli operai e dei lavoratori con solidarietà non sia faziosità, ma UMANITÀ.
Io penso tutto questo – e ammetto di essere pessimista. Ma voglio anche pensare a una soluzione alternativa. Voglio pensare «a un mondo nuovo e a una speranza appena nata».
Voglio pensare che «se Dio muore è per tre giorni, e poi risorge».
Voglio pensare che «se Dio muore è per tre giorni, e poi risorge».