sabato 27 ottobre 2012

Brevi riflessioni settimanali. Etica e quasi-filosofia

Come scriveva Bobbio, esistono due filosofie, una aperta e critica, l'altra certa e assoluta. 
Se si sostituisce a "filosofia" il termine "approccio alla realtà", credo che si possano reinterpretare diversi fenomeni con una superiore consapevolezza, in una prospettiva completa.
Uno degli ambiti che potrebbe essere reinterpretato in forza di questa diversa apertura - che non si sostituisce, ma si affianca criticamente e rimane, su indicazione di Bobbio, una via aperta - è l'etica.
E' appena il caso di premettere un possibile inquadramento della questione.
Secondo Nietzsche proclamare la morte di Dio, demolire l'architettura dei valori assoluti, non significa “crogiolarsi nel nulla”, ma “abbassarne il livello”, permettere la creazione di altri valori con la consapevolezza che di creazione umana si tratta e, pertanto, ammetterne il superamento. Molte teorie, diffuse sono in ambiente accademico, ripensano l'etica nel metodo e nei contenuti, discutendo i termini di una sua possibile logica o razionalità; quando si riflette sulla morale, nel metodo e nei contenuti variabili, resta tuttora innovativo  l'insegnamento di Kant e le sue rielaborazioni.
«Questa è una canzone - dichiarò Fabrizio De André, introducendo "La città Vecchia" - che risale al 1962, dove dimostro di avere sempre avuto, sia da giovane che da anziano, pochissime idee ma in compenso fisse. Nel senso che in questa canzone esprimo quello che ho sempre pensato: che ci sia ben poco merito nella virtù e ben poca colpa nell'errore. Anche perché non sono ancora riuscito a capire bene, malgrado i miei cinquantotto anni, cosa esattamente sia la virtù e cosa esattamente sia l'errore, perché basta spostarci di latitudine e vediamo come i valori diventano disvalori e viceversa. Non parliamo poi dello spostarci nel tempo: c'erano morali, nel Medioevo, nel Rinascimento, che oggi non sono più assolutamente riconosciute. Oggi noi ci lamentiamo: vedo che c'è un gran tormento sulla perdita dei valori. Bisogna aspettare di storicizzarli. Io penso che non è che i giovani d'oggi non abbiano valori; hanno sicuramente dei valori che noi non siamo ancora riusciti a capir bene, perché siamo troppo affezionati ai nostri».
Come è evidente, in due modi si può raggiungere una nuova consapevolezza etica: criticando i presupposti tradizionali, ovvero rifiutando una accettazione acritica, o capovolgendoli. L'una e l'altra sono spesso vie contigue e proseguono lungo il solco della tolleranza.

venerdì 19 ottobre 2012

Poesia d'autunno


Ottobre

Un tempo, era d'estate,
era a quel fuoco, a quegli ardori,
che si destava la mia fantasia.
Inclino adesso all'autunno
dal colore che inebria;
amo la stanca stagione
che ha già vendemmiato.
Niente più mi somiglia,
nulla più mi consola,
di quest'aria che odora
di mosto e di vino
di questo vecchio sole ottobrino
che splende nelle vigne saccheggiate.

(V. Cardarelli)


venerdì 12 ottobre 2012

I cieli celesti d'Italia. Il conflitto tra luce e ragione



Esiste un'inversione della logica in alcune affermazioni che dovrebbe preoccupare più del problema che agitano. In primo luogo, perché il fantomatico problema non esiste e dunque non può essere validamente espresso; in secondo luogo, perché, laddove la logica diventa una contorsione del ragionamento, soccorrono inganni di vario genere: dal tentativo di suscitare terrore a quello di indebolire il livello generale di capacità di pensiero.
Che risparmiare sull'illuminazione pubblica sia la causa (o la concausa) di un aumento della criminalità è argomentazione facilmente debole. Se ci si ragiona, nessuno affermerebbe coscientemente che la causa del traffico di droga, delitti, sfruttamento della prostituzione, furti sia la superficie poco rifulgente della luna.
Le politiche di spending review del Governo italiano hanno, infatti, riguardato anche tagli alla spesa sull'illuminazione pubblica notturna, e le reazioni sono state rapide. La questione è stata affrontata dall'esecutivo in linea con molte proposte della società civile e con riferimento alle statistiche europee, le quali indicano l'Italia come il paese, dopo la Spagna, maggiormente incline al consumo e agli sprechi anche nel settore dell'energia elettrica. Il nostro Paese dissipa energia pro-capite pari al doppio di quella impiegata in Germania e della media UE; nettamente superiori i consumi anche rispetto a Francia, Irlanda, Belgio e Regno Unito.
Benché le intenzioni del legislatore e dei governi spesso trascendano, soprattutto in questi ultimi anni, gli obiettivi dichiarati, è fuori discussione che una scelta del genere importi il doppio effetto di ridurre la spesa pubblica nei settori in cui essa costituisce inutili sprechi e, simultaneamente, di promuovere un ideale positivo o - come definito da parte dell'opinione pubblica - un "circolo virtuoso" di utilizzo intelligente delle risorse.
Diverse barricate concettuali si sono sollevate ugualmente sulla disposizione.
Certamente, con l'estremizzazione in entrambi i sensi si rischia la banalizzazione del problema. Non si tratta, perciò, di aderire per partito preso a una posizione ambientalista o di verso opposto.
Si è obiettato che durante le ore notturne si raggiunge il tasso massimo di incidenti stradali che pongono a rischio incolumità pubblica e personale; che alcuni reati sono di per sé "notturni" o si avvalgono della "complicità notturna": agire alla luce del sole è senz'altro un inizio di confessione. Non per questo, però, l'illuminazione è la causa di una riduzione della delinquenza: indubbiamente è un fattore che concorre all'individuazione del problema, ma non alla sua soluzione. La sicurezza stradale si preserva con altri mezzi (controlli dei pubblici ufficiali, limitazioni dell'uso di sostanze alcoliche, provvedimenti su limiti di velocità e accertamenti sulla loro osservanza), la criminalità occasionale o organizzata, che spesso si avvale del silenzio e dell'omertà generale, non trova certo un disincentivo nella sua "visibilità" se questa non si accompagna all'effettiva denuncia o alla fattiva prevenzione con mezzi funzionanti.
Se esiste una minima incidenza dell'illuminazione pubblica sulla riduzione della delinquenza, questa non è né risolutiva, né la causa prima.
Dall'altro lato, il timore atavico, che discende dal rischio dell'incolumità e sfocia nel bisogno di sicurezza, nasconde un problema più rilevante.
In alcune giornate invernali la sera è più luminosa del giorno. Molti potrebbero esserne accorti, esserne soddisfatti o vivere ormai in una sorta di assuefazione. Il consumo inutile di energia elettrica, però, incide direttamente sull'ambiente: l'ambiente è, letteralmente, la prospettiva, il luogo, la forma, lo scenario materiale entro cui la realtà naturale, animale, umana si svolgono.
La sicurezza - pur essendo inconcepibile che una sua compromissione derivi da una decisione del genere - non è la contropartita della libertà personale.
Ovviamente non deve intendersi per "libertà" il dissennato arbitrio. Libertà è un concetto più complesso e, a prima vista, paradossale o inafferrabile, perché si accompagna necessariamente alla responsabilità (personale, morale, civile, universale) che la rende indigesta ad alcuni.
Una politica che escluda l'ambiente sarebbe la vera compromissione delle libertà, perché esclude il fondamento stesso del loro esercizio, il requisito materiale, ovvero la persistenza del genere umano. D'altro canto, una falsa logica che escluda il pensiero sarebbe ugualmente la vera compromissione delle libertà, perché ne esclude il secondo fondamento, il requisito sostanziale, ovvero la decisione, la possibilità di scelta.
Placida notte, e verecondo raggio
della cadente luna...
                                    ...già non arride
spettacol molle ai disperati affetti

(Simone Risoli)

domenica 7 ottobre 2012

La «vera» libertà. Ricerche e analisi

Appendice postuma a  Tre lezioni sulla libertà 

Libertà positiva, libertà negativa. L'equivalente politico della libertà (tendenzialmente morale) positiva è una libertà negativa garantita (diritto) a contenuto volontaristico: la libertà di manifestazione del pensiero, ad esempio. Essa è sicuramente una libertà negativa, poiché si pone come negazione o circoscrizione di un limite ad agire, la quale dispone a proposito di una basilare libertà positiva: quella di orientare autonomamente una scelta, escludendo un'interferenza esterna. Tale interferenza si porrebbe come impedimento all'azione (assenza di libertà negativa) e, simultaneamente o per effetto, come etero-direzione (assenza di libertà positiva): per meglio dire, sarebbe una costrizione che incide direttamente sulla libertà di coscienza.
In questa ottica, viene in primo piano in ambito politico la libertà di tipo negativo sull'altra, perché è il perimetro entro il quale, solamente, si definisce il terreno; senza la forma esterna del "diritto soggettivo", il contenuto della libertà positiva sarebbe politicamente affetto dalla informità tipica dei fluidi.
D'altro canto, una più ampia trattazione non può ridurre reciprocamente concetti diversi; può al più rilevare possibili punti di contatto.
Vale ancora (per quanto storicamente espressione dell'ideologia liberale) quel che affermava Constant: la vera libertà, in ambito politico, è negativa. Se si vuole, però, approfondire il concetto alla luce delle tendenze costituzionalistiche nell'interpretazione del concetto di libertà, vengono in rilievo i contenuti specifici che il perimetro della libertà negativa sottrae all'autorità e consegna al singolo. In tal caso, è possibile un contenuto positivo oggetto di una libertà negativa, nel senso di "diritto soggettivo" che rende possibile ed effettiva l'autodeterminazione.
Avallando la tesi di Constant, urge tuttavia indicarne anche i limiti. Posto che, come afferma il pensatore politico francese, la libertà negativa sia la «libertà dei moderni», non per questo la libertà degli antichi si identifica con quella positiva. Libertà positiva e negativa coesistono, essendo per natura incommensurabili: come già agli studenti delle scuole elementari gli insegnanti sono soliti impartire i rudimenti di aritmetica, attraverso i quali si apprende che è impossibile sommare elementi diversi; così il dualismo libertà positiva/negativa non si può risolvere per confusione (o per fusione o incorporazione).
Non si deve né è possibile, in sintesi, affermare in assoluto quale sia la «vera» libertà, laddove è opportuno concludere, invece, che la libertà negativa sia il fine "liberale" ultimo cui il cittadino dovrebbe pretendere che lo Stato aspiri.

(segue): Libertà positiva e obbedienza. Come scrive Bobbio, «se una difficoltà esiste rispetto alla libertà positiva, non sta nel [...] distinguerla dalla libertà negativa, quanto nell'individuare il momento in cui si possa dire che una volontà è determinata da se stessa», ovvero è autodeterminata. Occorre allora distinguere la «vera» libertà (positiva) da quella apparente. Essendo quella un attributo della volontà, sarà «vera» se è assente qualsivoglia interferenza e se è espressione della Voluntas e non di una volontà qualunque. 

Evidentemente la distinzione è delicata se non capziosa. Secondo soluzioni note, questa volontà può assumere le forme della volontà generale di Rousseau, dello Statalismo hegeliano, del legalismo positivista: nel primo caso, la volontà superiore prescinde la somma delle particolari e si manifesta attraverso le leggi; nel secondo è incarnata dal grado di massima espressione da parte dello Stato di una struttura razionale prevalente sugli individui; nell'ultimo, dalla riduzione (che Bobbio definisce «positivismo ideologico») della libertà (e in particolare di quella morale) al diritto positivo statale. Nei tre casi il concetto di libertà è generalmente obbedienza a un principio superiore, trascendente o immanente che è «volontà pura». 

Libertà individuale e collettiva. Già la teoria di Constant pone problemi. Nel paragonare «la libertà degli antichi a quella dei moderni», il filosofo asserisce (tra l'altro in maniera assai semplificata e paradigmatica) che nella società antica greco-romana poteva dirsi soggetto «libero» il popolo, in quella moderna (quella liberale post-rivoluzionaria) l'individuo, ovvero un individuo particolare detto «soggetto di diritto» o comunemente «cittadino». Espressione di questa dicotomia sarebbe la diversa natura di diritti di cui antichi e moderni godono: diritti esclusivamente politici, cioè di determinazione del governo, i primi; diritti individuali, di determinazione della propria sfera economica e privata, i secondi.

L'impronta liberale dell'analisi di Constant, che come è noto promuove una concezione individuale di libertas, porta a escludere che la «vera» libertà sia collettiva.
In posizione diametralmente opposta, Marx afferma la libertà delle classi attraverso il superamento delle classi stesse come unica libertà possibile che conduca al principio universale della liberazione dell'uomo da ogni ingiustizia (ideale di cui, per altro, è foriero il proletariato tedesco, secondo gli scritti di Critica alla filosofia del diritto di Hegel).
Secondo una media sententia, a mio avviso, non è libertà la libertà di pochi, la quale, essendo fondata sulla disuguaglianza, è piuttosto privilegio. Questo dal punto di vista dei singoli. Ma poiché, come adesso è chiaro, libertà è privilegio se non temperata da uguaglianza, si impone anche la necessaria libertà di gruppo affinché sia possibile quella del singolo: e, infatti, il singolo partecipa di una situazione socio-economico peculiare "di classe" e la classe è definita dalle stesse barriere socio-economiche a cui l'uguaglianza sostanziale si oppone.

(segue): Libertà e Stato. Constant, per ragioni storiche legate alla contrapposizione all'Ancien Regime, drammatizza e assolutizza il conflitto «autorità/individuo». D'altra parte, l'impulso repressivo dell'autorità non è in re ipsa, bensì deriva da una scelta di esercizio del potere. Uno stato (contemporaneo) costituzionale, democratico, sociale non esclude totalmente il suo potere coattivo a favore della sola autonomia privata, ma lo indirizza alla realizzazione di obiettivi etico-politici giuridicamente e storicamente determinati: istruzione, sanità pubblica, redistribuzione del reddito, assistenza sociale, tutela del lavoro e dell'ambiente. Ovviamente, la critica tradizionale che si può muovere a quest'ultima visione consiste nel rischio di un utilizzo degli stessi meccanismi costituzionali, democratici, sociali per sovvertire gli obiettivi originari. In tal caso possono soccorrere meccanismi di controllo sostanziale (i tribunali costituzionali, procedimenti c.d. "aggravati") teorie meta-giuridiche (una su tutte, la teoria di Popper sulla demarcazione «società aperte/società chiuse»).

Il rapporto fra individuo e Stato si ripropone in modi diversi. La divisione classica è quella liberal-borghese che propugna la scissione Stato/società, unitamente alla considerazione della seconda come totalità di individui (c.d. concezione atomistica): nell'ideale borghese le questioni di libertà negativa, individuale e dallo Stato si sovrappongono. Solo storicamente può essere compresa l'avversione del cittadino post-rivoluzionario nei confronti dello Stato: esso si identifica, allora, nell'apparato amministrativo e nel potere arbitrario che dispone anche della libertà personale.
La storia delle teorie filosofiche dello Stato in relazione al corpo sociale può essere, invero, ridotta allo schema subalternità - divisione - cooperazione: nello Stato assoluto il Leviatano è la negazione della libertà (dell'individuo nella società), nello Stato di diritto l'estraneità dello Stato alla vita privata è garanzia di diritti, nello Stato sociale del secondo dopoguerra l'interventismo dello Stato è lo strumento per "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale" e assicurare una necessaria forma di libertà, reinterpretata alla luce del principio di eguaglianza sostanziale.

(Simone Risoli)