mercoledì 30 maggio 2012

Ode all'uomo


Uomo, le spalle al cielo,
gli occhi alla terra, libertà negata,
qual è la tua natura?
Piangere la morte, amare la vita
e sconfessarti in vita,
o non tradire il vero
e non sposare il vizio?
Un groviglio di parole disperse;
un angelo caduto,
o un animale amato in cielo, forse.


          E io sono un paradosso
            un poeta senza verso
che fugge il tempo solo per cercarlo


(Simone Risoli, 20-3-2010)

domenica 27 maggio 2012

Contributi alla poesia, anno 2012


È strano come i pochi cultori di poesia replichino all'accusa di inutilità della poesia stessa: la bellezza dell'inutile è la vera bellezza. Una sentenza ben costruita che viene spesso svuotata di significato. Nasconde infatti un'eredità filosofica, estetica, letteraria che si può sintetizzare nella formula di Kant «la bellezza della natura è finalità senza scopo», ovvero è armonia (finalità) ma non ha un utilizzo, un impiego, non è strumentale (senza scopo). La bellezza è fine a se stessa. Ma davvero la poesia (e l'arte) è salvata solo dalla sua inutilità? È possibile la poesia come forma utile?
L'utilità non corrompe la poesia. Ovviamente, “utilità” si può intendere almeno in due sensi: “utilità” come funzione o come spendibilità. Il secondo caso è il più semplice: la forma “poesia” deve essere inutile nella misura in cui una poesia economica, profittevole, «di consumo immediato muore appena è espressa» (Montale, 1975). Una poesia con una funzione (sociale, politica, emotiva, universale, psicologica) è una poesia utile, ma la sua utilità non la degrada affatto, anzi, la eleva.
Tante sono le indicazioni storiche e letterarie che inducono a escludere l'integrità della sola arte inutile (molti cultori della pittura ottocentesca sanno che il carattere sociale, di denuncia e di rinnovamento sono elementi fondamentali).
Questo accenno a una questione tanto complessa non si esaurisce così. Resta da domandarsi quale poesia è ancora possibile. In questo caso come in altri, credo che l'orientamento della risposta dipenda dal punto in cui si vuole porre la partenza. Fatta questa premessa, a mio avviso non esistono una poesia utile e una inutile, ma esiste la possibilità di scrivere poesia in modo diversamente utile. Bisogna quindi concludere che tutto quel che è scritto “andando a capo a fine verso” (Sanguineti) sia poesia? Ancora, a mio avviso, bisogna chiedersi quale poesia sia possibile.
La poesia che si emancipa dalla colpa dell'utilità a cui io mi dedicherei è una poesia colta, ma non erudita. La poesia che io sceglierei è una forma di sperimentazione. Inutile, forse, è soltanto la pseudo-poesia (e la pseudo-canzone) che oscilla fra la legge di mercato e l'inflazione delle immagini (per intenderci, le rime obbligate “cuore-amore”, i testi che devono «parlare di gabbiani»). La poesia colta, delle regole e del lettore preparato, che per Valerio Magrelli è l'alfabetizzazione di chi si approccia alla lettura, non può prescindere da una base di consapevolezza personale: diventa terreno di confronto e curiosità. Deve anche essere, secondo me, stimolo ad approfondire la realtà e occasione di conoscenza; la poesia non è altro che approfondimento della realtà, sotto prospettive e sensibilità diverse. Come chi ascolta una sinfonia inizia a mostrare il suo interesse nel momento in cui si interroga sulle battute, sulle note e sul loro possibile significato, così un termine complesso, una figura retorica, un significato oscuro offrono la possibilità di un'apertura mentale che il lettore interessato ad approfondire vorrà ricercare.  
E però, poesia colta (spesso sembra essere dimenticato) non deve significare poesia elitaria, monopolio di pochi adepti, ma una sintesi fra la cultura "dotta" (difficoltà), nella misura in cui essa sperimenta, e la cultura "popolare" (accessibilità), nella misura in cui essa richiama immediatamente, rievoca, risuona, commuove, si lascia ascoltare. 
Una poesia 'democratica', in conclusione, si rivolge a tutti, ma come un'offerta alla ricerca, il che è altro dal consumo immediato.

mercoledì 23 maggio 2012

Capaci 1992


Chi tace e chi piega la testa muore ogni volta che lo fa, chi parla e chi cammina a testa alta muore una volta sola

Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini

Occorre compiere fino in fondo il proprio dovere, qualunque sia il sacrificio da sopportare, costi quel che costi, perché è in ciò che sta l'essenza della dignità umana

(Giovanni Falcone)


Non è facile essere capaci di ricordare e offrire il senso del ricordo in poche frasi. Si rischia la retorica e la retorica indebolisce la forza dei significati; si rischia il coinvolgimento personale e il coinvolgimento personale tende a far perdere la lucidità. Ma esistono sempre almeno due direzioni percorribili: una è palesemente giusta, l'altra è un'anticipazione della parte peggiore della morte. A percorrere la prima, passione e retorica diventano fieri mezzi.
Da parte mia, scelgo forse il modo peggiore per intervenire, ma quello più ricco di silenzi e pause, di condivisioni (la condivisione di silenzi e pause scandisce forse la riflessione) e la (tentata) quotidiana militanza morale.
Con una carica maggiore, ripropongo la mia riflessione. 

Uomini senza morte

A Falcone e Borsellino,
agli uomini senza morte
che chiedono ragione e cercano giustizia
per essere liberi.

E parliamo noi
che quotidianamente moriamo
e che quando temiamo la fine
siamo già nati morti.
Parliamo quando è bene parlare,
pensiamo quando è giusto pensare.
Scorgiamo gli agrumeti da vent’anni
tingersi di sangue
e il sangue si chiede la ragione,
e noi stiamo in silenzio.

E agli antipodi del mondo distante e tranquillo
aspetta quello di uomini dentro il cemento,
di uomini incauti nell’acido
per l’illusione che una terra atavica
respinga la fionda,
perché un singolo respiro
non sia costante concessione.

Forse perché muore giovane
chi è caro agli dèi,
e allora muore in fretta
chi è giusto fra gli uomini.

Ma continuerò finché spoglia
d’ogni pensiero poetante
strascicherò dissanguata la sola verità:
son uomini che uccidono altri uomini,
è il silenzio che assassina il pensiero
e la libertà di pensare;
è l’odio, il rancore,
è una natura ferina che noi
scientemente scegliamo,
chiamando i morti giusti,
condannando i vivi
e serrando le fauci,
finché non le forza il dolore.

(Simone Risoli)

mercoledì 16 maggio 2012

Intermezzo. Incontro con uomini e idee



«Tre passioni, semplici ma irresistibili, hanno governato la mia vita: la sete d’amore, la ricerca della conoscenza e una struggente compassione per le sofferenze dell’umanità. Queste passioni, come forti venti, mi hanno sospinto qua e là secondo una rotta capricciosa, attraverso un profondo oceano di dolore che mi ha portato fino all’orlo della disperazione.
Per prima cosa ho cercato l’amore, perché dà l’estasi, un’estasi così profonda che spesso avrei sacrificato tutto il resto della vita per poche ore di una tale gioia. L’ho ricercato anche perché allevia la solitudine, la solitudine paurosa che induce l’io cosciente a affacciarsi rabbrividendo sull’orlo del mondo per fissare lo sguardo nell’abisso freddo e senza fondo dove non c’è più vita [...]
Con uguale passione ho cercato la conoscenza. Ho desiderato di conoscere il cuore dell’uomo. Ho voluto sapere perché le stelle brillano. Mi sono sforzato di rendermi conto della potenza già intuita da Pitagora, che assicura al numero il dominio sopra il fluire delle cose. In parte, in piccola parte, vi sono riuscito.
L’amore e la conoscenza, nella misura in cui sono stati possibili, conducevano su verso il cielo. Ma la compassione mi ha sempre riportato sulla terra. Gli echi di grida di dolore risuonano nel mio cuore. Bambini che muoiono di fame, vittime torturate dagli oppressori, vecchi indifesi considerati dai figli un peso insopportabile, e tutto quel mondo di solitudine, povertà e dolore trasformano in beffa ciò che la vita dell’uomo dovrebbe essere. Provo lo struggimento del non poter alleviare questi dolori, e anch’io ne soffro».
Bertrand Russell

venerdì 11 maggio 2012

Ti libero la fronte

Mi perdoni il Poeta
se raccolgo la sua traccia madreperlacea

Ti libero la fronte dai pensieri -
sei forse il solo animale vivente
a cui nuocerebbe l'oltre-pensare.

Ho sceso dandoti litri di bile
a ogni tuo disappunto
un milione di scale.

Ti lascio i tuoi cristalli
e ti aiuto a raccoglierne i riflessi
pesanti sulle pieghe della sera.

Se io sentissi queste voci venire
anche dal fondo delle tue quisquilie,
saresti tre quarti di atomi
ignei che mi sfavillano nell'anima.

Ma sento solo silenzio suonare,
a scorno di chi crede
che la realtà è migliore
di quella che si vede.

maggio 2012

(Simone Risoli)

lunedì 7 maggio 2012

Il «nodo» Alfano (e altre incomprensioni)


È di questi giorni il proclama, la pronta replica, la contesa orgogliosa, senza cenno di cedimento, la scelta cavalleresca e di stile di non demordere (parafrasando le parole dell'on. Cicchitto) del segretario di un importante partito.
Sia chiaro, ogni modesta opinione qui espressa vuole essere una riflessione sulla delicatezza e sugli imprevisti svolgimenti delle pubbliche affermazioni, soprattutto se provengono da figure che, per disparate ragioni non sindacabili, si ergono a modello, al punto di proporsi alla guida del Paese.
L'oggetto del contendere si può così riassumere: il segretario in questione dichiara che le tasse (espressione generica, ma sintetica) stanno diventando particolarmente opprimenti; che questo fatto grava soprattutto sulle imprese; che quelle stesse imprese sono creditori dello Stato, da cui attendono pagamenti arretrati per prestazioni offerte. Ergo: a quegli imprenditori dovrebbe essere concesso di poter compensare debiti e crediti verso lo Stato. Più semplicemente (perché è bene comprendere i dati, prima di giungere al giudizio), il piccolo imprenditore in attesa di pagamento dovrebbe versare all'Agenzia delle Entrate le imposte meno il suo credito e, nel caso, non pagarle affatto se il credito superasse quanto dovuto allo Stato.
Ora, è ovvio che il pericolo di un fraintendimento di questo principio è probabile. Perché è ovvio che i toni elettorali suscitano furori e non riflessioni fredde e che il rischio di compensazioni arbitrarie è molto elevato. Su una materia tanto viscerale come quella fiscale, fondata sull'odio naturale e diffuso del contribuente medio verso il Fisco, insomma, il confine fra compensazione ed evasione fiscale può diventare labile e grava sull'ideatore del metodo compensativo non dare adito a dubbi.
Precisiamo: il principio di compensazione, già applicato fra privati, può essere legittimo se una legge fissa rigorosamente un criterio per definirlo che dovrebbe, senz'altro, prevedere l'esclusività dello Stato a procedere e autorizzare lo "scambio". In nessun modo si dovrebbe lasciar intendere che l'autotutela verso lo Stato sia una forma lecita per esercitare un presunto diritto.
Il problema è altro: rivendicare in forma di ultimatum così inusualmente tassativo qualcosa del genere era opportuno?
Politicamente, se politica è misura e capacità di attrarre consensi (proprio oggi alcuni quotidiani riportano le discussioni sul cambio di leadership nel PDL per attrarre più elettori), lo è di certo; politicamente, se politica è capacità di indirizzo della società, tentativo di ‘raddrizzare le storture sociologiche’, lo è meno.
Io intendo chiedermi, senza pretesa di rispondere: non si sarebbe dovuta scegliere una minore enfatizzazione e una superiore, per quanto più noiosa e meno "comunicativa", chiarezza espositiva? Quale sarà l'effetto su chi è convinto che le tasse siano “pizzo di Stato” (vedi il “nuovo” Grillo), che pagarle è un'ingiustizia legalizzata, che le tasse degli imprenditori del Nord paghino i sussidi ai fannulloni del Sud, dimenticando che con le tasse lo Stato, nonostante gli enormi sprechi, finanzia (purtroppo poco) e garantisce l'Istruzione, fa funzionare gli Ospedali per la cura di tutti i cittadini, garantisce le cure mediche (fatto per niente scontato altrove nel mondo)?
Non sto costruendo l'apologia dello Stato e delle buone maniere (con cui spesso si edulcorano grandi lacerazioni); non sto giustificando l'ordine costituito (peraltro bisognoso di profonde riforme). Sto cercando di affrontarlo razionalmente. Per queste ragioni mi chiedo: l'imprenditore meno onesto sarà più o meno indotto a “compensazioni arbitrarie”? L'evasore fiscale sentirà o meno un sostegno (anche se involontario) psicologico a continuare la sua attività parassitaria?
Ecco il centro della questione: Non è probabile che qualcuno intenda questo eventuale diritto come una attuale autodifesa, se la questione è posta in termini confusi e coloriti? È la questione secolare della “eterogenesi dei fini”: da una causa possono originarsi effetti imprevisti e, anzi, esclusi dall'autore come conseguenze del suo gesto. Per questo la politica deve valutare tutti i rivolgimenti delicati della propria azione: per questo i partiti, talvolta, devono evitare la leggerezza dei proclami.
Ben venga una regolamentazione legislativa del punto, anche se resta da domandarsi molto sul merito. Quel che non dovrebbe accadere è alimentare le tensioni e le esasperazioni. Rassicurare gli imprenditori onesti con i toni propagandistici non elimina le tensioni. Lo scontro quasi ricercato con il Governo, che sul tema delle “compensazioni” si era espresso duramente, sembra favorire questa seconda via.
«Chi incita all'evasione meriterebbe un trattamento molto più rigoroso nel contesto sociale», si è espresso il Presidente Monti. E ha ben ragione il Presidente del Consiglio ad affermare che la situazione economico-sociale attuale è risultato della cecità di governi passati, che giustificare anche indirettamente forme di “autotutela fiscale”, di fatto evasione, ha risvolti criminogeni, perché, fino a prova contraria, il boicottaggio dell’IMU è reato e atto di egoismo (qualcuno si è mai interrogato sulla situazione di chi nemmeno può permettersi l'acquisto di una "prima" casa o ha posto il problema dell'IMU in termini di graduabilità e non di alternativa "tutto o nulla"?).
Lo Stato è sistema, per quanto malfunzionante, e le tasse sono forma di partecipazione al sistema.
Questo non vuol dire che lo Stato sia infallibile.
La protesta è sacrosanta, la demagogia è dannosa. L’appesantimento della tassa sulla prima casa è il prezzo di una scelta popolare (l’abolizione dell’ICI) ma fallimentare.
Quale sia la reale intenzione o buona fede degli esponenti del partito dei proclami, poco importa. Poco importa se il Governo Monti ha interpretato la reazione di quel partito come una exscusatio non petita («Senza che io mi riferissi ad Alfano molti esponenti del suo partito lo hanno difeso», precisazione del Presidente del Consiglio).
La protesta è sacrosanta, la demagogia è dannosa. La leggerezza è pericolosa.
Una certa deriva in corso è preoccupante (e qui il riferimento è più ampio e generale), e non perché dovrebbe terrorizzare il cambiamento dello status quo (questo potrebbero obiettarmi i “Grillini”). Al contrario, è preoccupante perché ricerca il cambiamento minando le basi sociali e meritocratiche dello Stato, la cui affermazione È IL CAMBIAMENTO.

giovedì 3 maggio 2012

Manifesto per una nuova consapevolezza poetica


Non chiedermi la chiacchiera chiassosa
che tace al fondo quando la si interroga
o ricomponga i ruderi del mare.

Non chiedermi di trebbiare la crosta
della terra con formula squadrata
o con ordinanza di tribunale

e non chiedere se l'anima attende
ancora ferma fra il nervo spinale
e la ghiandola pineale: domandalo

ad altri, se cerchi risposta facile.
Non sono uno scienziato di parole
che smerci a basso prezzo soluzioni.

Tu ed io saremo entrambi più poeti
se chiederemo ragione agli istanti
anche senza pretendere risposta

e scriveremo il nostro manifesto
a colpi di martello e di sapere
di non-sapere, giorno dopo giorno.

Ed essere poeti è avere il sapore
dolce-amaro di ogni angolo del mondo.

(Simone Risoli)