martedì 30 aprile 2013

April is the cruellest...

Aprile è forse davvero il più crudele.
Lo è, perché il senso di torpore e tepore si fondono tra la rima, l'assonanza e il perdersi in quella analoga sensazione di "medietà". Una specie di grigiore che non si presenta agli occhi, ma è, invece, come una sensazione tattile o mentale. Un'eterna via di mezzo, natura contesa fra inverno ed estate, secchezza e piogge, radici inaridite dal ghiaccio che iniziano a inaridirsi al caldo.
Eppoi esiste sempre una sospensione fra due poli - passato e avvenire -, fra contraddizioni, fra certezze.
Anche al di là del "poetico" che è lo specchio di uno stato interiore di malinconia, disagio, indecisione, perdita di assolutezza attraverso la stagione di passaggio, aprile è certamente il tempo della riflessione, il mezzo del cammino.
Lungi dall'essere questo magma di retorica una pretesa spiegazione universale dei fenomeni umani (a canzoni non si fan rivoluzioni!), aprile scende a compromessi o lascia intendere che la via di mezzo sia quella del compromesso. E non del giusto mezzo come virtù, perché non si spiega, ma il crogiolarsi al centro rivela una certa negatività, sia essa malinconia o senso di deterioramento.
La perdita di certezze (aprile è il correlativo oggettivo dell'anima opaca che non proietta ombre) è anche il disimpegno politico, abdicare alla propria funzione civile, sempre se una "società" sia mai esistita e non sia, invece, un termine in più per indicare la somma di individui slegati e indipendenti, anzi: una catena artificiale alle caviglie di individui slegati e indipendenti?
Insomma, tutto è oggettivamente deludente; la soluzione è prenderne atto.
E tutto questo è incontrovertibile. Ogni parola scelta conferma, rafforza, sostiene quest'idea.

E, di certo, allora, non interpreterò io la parte dell'ottimista ingenuo...
Ma nemmeno quella del pigro disfattista!
In fin dei conti, tutto quel che ho scritto sopra non vale niente, parola d'onore!


domenica 21 aprile 2013

Alle fronde dei salici


E come potevano noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

(S. Quasimodo)