Prima ancora delle posizioni etiche e politiche sull'argomento, questa è la chiave di volta per comprendere lo stato attuale delle libertà: se si riesce a dimostrare che l'avvenire dei diritti è monopolizzato, frenato innanzitutto da una serie di inesattezze logiche, si disarmano tutte le presunte argomentazioni, si svelano, si sgretolano le false certezze senza possibilità di replica.
Ora, torniamo al punto. Se si negano i diritti di alcuni individui (consideriamo ancora gli omosessuali) sulla base del principio che essi “naturalmente non hanno diritti”, che “naturalmente i diritti della coppia sono i diritti della coppia eterosessuale”, è chiaro che restano da provare nei fatti le affermazioni (e la prova scientifica o metafisica non esiste). Ma, ancor prima, si formula un ragionamento assurdo. Qualcuno darebbe credito, senza nemmeno indagare un fondamento scientifico ma immediatamente a prima vista, alla frase “dato che piove, mi chiamo Simone”?
È bene dire chiaramente qual è il vizio logico di queste posizioni: affermare i diritti di un soggetto non significa riconoscergli nulla di naturale, ma garantirgli, assicurargli, prescrivergli qualcosa di giuridico-convenzionale, anche contro le pretese “leggi di natura”.
Il rischio del diritto naturale, purtroppo, è quello di un suo possibile uso strumentale, perché il termine “Natura” è estremamente vago e piegabile a interpretazioni illiberali. Ancora più imbarazzanti – e abbondano le affermazioni di alcuni nostri “rappresentanti” politici in questo senso – e infantili sono le tesi “estetiche” ed emotive: «non è giusto (e quindi non merita il riconoscimento di un diritto), perché mi fa ribrezzo». Ma logica formale ha la caratteristica dell’oggettività: chi presterebbe attenzione a un politico se, esaminando le sue frasi, le scoprisse incoerenti nel metodo, prima ancora che non condivisibili nel merito?
La persuasività di una tesi è opinabile, la sua assurdità è un dato di fatto. E gli elementi di assurdità sono molti in molti casi, ma sono pure la principale debolezza del sistema culturale che vuole assassinare le libertà.
Eccone alcuni.
Preteso punto di forza di queste tesi è il fascino di cui si ammantano, ergendosi a paladini dell’ordine naturale come ciò che è “buono e giusto”. La politica dei valori etici assoluti spesso diventa politica di intolleranza. Oltretutto, i diritti non devono essere ricalcati sulla falsariga di un modello indiscutibile e preesistente. Si deve ammettere che è riduttivo riconoscere e trasporre quel che accade sotto i sensi in regole, modi di convivenza, relazioni sociali, accettare l'equazione questo è, questo deve essere: dovremmo essere fieri di vagare nudi per le foreste, coperti di fango, di bere dai fiumi, di comunicare con versi gutturali, di abitare le caverne, di riprodurci come animali, di regolare le controversie secondo l'istinto, di lasciar svolgere alla malattia il suo corso naturale fino alla morte. Qualcuno dei galantuomini che giustificano la negazione dei diritti degli omosessuali, perché contro natura, crede che dovremmo vivere naturalmente dedicandoci allo stupro, abbandonando le città, regolando i rapporti con la forza, negando quel che, in un solo termine, si definisce “socialità”? La socialità è necessariamente altro dalla natura: ciò che preme è avvalersi in modo costruttivo di questa alienità, tendendo a una sempre maggiore affermazione e non alla compressione di diritti che creazione “civile” o “sociale”, e non naturale, sono. Creare diritti è segno di civiltà, ostinarsi a riconoscerli per temporeggiare sul tema è defilarsi da una cultura liberale.
Se poi si vuole accennare una soluzione scientifica al problema, Natura è la totalità dei fenomeni del mondo: nel momento in cui un fatto accade diventa naturale, cioè parte della Natura stessa.
Altro caposaldo di chi – ormai è evidente – ostacola l'avvenire delle libertà e dei diritti è semplice: esistono, secondo loro, diversità incolmabili in natura che gli uomini (o lo Stato) non possono e non devono eliminare. Così, un parlamento di mortali non può modificare la Natura che vuole l'uomo unito alla donna, i matti insanabili, la minoranza sopraffatta dalla componente più forte: in natura l'animale isolato dal branco muore; può forse il legislatore invertire questa legge immutabile?
Questo principio è un asservimento della logica all'ideologia liberticida. Dire che in natura gli uomini sono diversi, riconoscere che in natura sono diversi, non vuol dire che (come cittadini) gli uomini devono essere diversi! Questo è un salto logico enorme. Osservare che in natura “pesce grande mangia pesce piccolo” – scriveva Scarpelli –, non significa che si debba tollerare che le cose continuino a svolgersi in questo modo, che “pesce grande ha diritto di mangiare pesce piccolo”: non è forse quel che accade quando affermiamo, nella Costituzione, l'uguaglianza fra uomini che vivono in condizioni estremamente diverse?
Natura e diritto si sviluppano su piani separati: tutti i sistemi di norme, di regole, di precetti sorgono in contrasto con la natura. Nessuno, con cognizione di logica, giustificherebbe l'omicidio sulla base della constatazione che “così accade in natura”, “così in natura il più forte prevale sul più debole”, “l’uomo è predisposto alla violenza”.
Su un punto particolare è necessaria cautela. Politicamente una simile operazione, che logicamente è vizio di ragionamento, diventa un efficace strumento anti-liberale.
Bisogna guardarsi da coloro che oggi ostacolano la libertà e i diritti con queste argomentazioni, perché la loro politica spesso non è ignoranza del vero, ma falsificazione ben studiata.
Quando chi sostiene queste tesi è uno sprovveduto, i danni dovrebbero limitarsi, ma l’impatto culturale sulle masse (per le quali l’autorità è pur sempre un modello di comportamento) non è da sottovalutare.
Quando chi sostiene queste tesi compie una sottile operazione ideologica, cercando di fornire una visione oggettiva della realtà che, invece, ne è una deformazione, il pericolo è maggiore. Chi nega le libertà in nome della natura o di altre presunte certezze assolute non è un ingenuo che incorre in errore di distrazione, ma un raffinato esperto che occulta intenzionalmente le realtà, facendo leva su convinzioni primordiali, sulla sensibilità e, soprattutto, sull'impreparazione generale.
L'arresto delle libertà è un'aberrazione della ragione. Nel migliore dei casi è un errore logico, quasi sempre è un consapevole atto di giustificazionismo.
Nel nostro Paese le libertà potranno avanzare se si sveleranno i progetti politici; ma, sviluppare il dibattito sul piano puramente politico è sconveniente, perché obbliga ad assumere una posizione, a compiere una scelta di responsabilità, a dichiarare le reali ragioni e i reali scopi della propria azione.
Chi ostacola le libertà oggi non proclama pubblicamente: “Io sono l'uccisore delle libertà”. Chi arresta l'avvenire dei diritti, oggi, si dichiara convinto riformista, ma alimenta le pulsioni ataviche e istintive dell'uomo: quelle naturali, appunto.
La negazione delle libertà e dei diritti si fonda sulla riduzione della consapevolezza individuale e collettiva. Il futuro delle libertà e dei diritti dipende dal dubbio e dalla cultura personale.
(D’altra parte, mi rendo conto che questi discorsi sono troppo impegnativi e che vivere sereni e indisturbati è di gran lunga più comodo. Specialmente se il problema sembra riguadare qualcun altro; e anche a costo di vivere meno liberi).
(Simone Risoli)