sabato 24 novembre 2012

E se fosse una questione «culturale»?



Ho letto negli ultimi giorni alcune considerazioni sulle primarie del centro-sinistra, tra le maggiori esperienze democratiche interne ai partiti di questo Paese. In quelle – talvolta – condivisibili opinioni non ho potuto non notare, però, alcuni errori d'impostazione che precedono la questione «materiale» dei risultati e dei vincitori. Per tali ragioni, vorrei che le mie riflessioni fossero lette come la constatazione di un errore di fatto che riguarda il ragionamento generale prima che l'interesse di parte.
È davvero tanto certo che la soluzione di «sinistra» italiana debba essere una cura a base di «americanismo e fordismo» alla nuova maniera?
La questione è male impostata se non muove da questo presupposto. Che la sinistra di riferimento debba essere «quella di Obama e non quella di Rosy Bindi» suona come provocazione e ha il tono del proclama elettorale.
E tuttavia non si può negare – si obietterà – un fondo di verità e buon senso. Il modello rooseveltiano, l'homo novus americano, la sinistra moderata che coniuga ceto medio e ceto disagiato, etica del lavoro e del merito sono i punti di forza del riferimento obamiano.
Fin qui, nulla da aggiungere. Ma, invece, si dimentica di aggiungere due affermazioni assiomatiche: 1) il modello americano si regge su fondamenta culturali distanti enormemente dall'Italia; 2) la sinistra europea non è la sinistra americana. Detto quanto detto, la conclusione non è "giansenista", e cioè la rassegnazione a una cultura politica "meritata" e immutabile; ma non bisogna nemmeno agire senza cognizione di causa, inseguendo ciecamente un mito senza ricercarne le condizioni.
In altre parole, occorre domandarsi: e se i rottamatori del centro-sinistra aspirassero a un modello senza avere compreso le basi che tale modello hanno permesso? Se il tutto (il paventato successo americano, il fallimento italiano, le differenze fra i due sistemi politici) fosse una questione di «cultura» e sulla cultura dovessero incidere i rinnovatori? (Chiaramente, incidere sulla cultura non è una missione di cui possano incaricarsi singoli personaggi).
È chiaro che, affrontando il problema da questa – ahimè! – corretta prospettiva, resta poco di sostanzioso oltre l'enfasi dei programmi di alcuni candidati. Perché, infatti, la questione non è quanto sia giusto cambiare tutto perché non cambi niente, ma comprendere l'origine patologica della degenerazione politica italiana. E, mi spiace ripeterlo, l'origine è culturale.
Da questo discende una e una sola conseguenza: se l'origine è culturale, bisogna modificare la cultura. L'impresa americana di Obama è sicuramente storica; dopo il New Deal, l'epoca obamiana rappresenta uno dei maggiori  progressi politici e sociali degli USA; detto questo, l'esperienza storico-culturale degli Stati Uniti è altro da quella italiana. Invocare il successo americano non significa di per sé assolvere il popolo italiano, anche se l'esperienza americana è una linea guida.
Ne è lucido esempio la scorsa esperienza elettorale. Il Presidente e i Rappresentanti degli Stati Uniti sono stati eletti con il meccanismo previsto dalla Costituzione del 1787: una “legge elettorale” in vigore da oltre due secoli, con qualche modifica successiva, ha regolato l'espressione del  voto di milioni di individui, laddove, in Italia, la successione frenetica di leggi elettorali ha prodotto un sistema particolarista e, a tratti, indecifrabile (l'eufemismo è d'obbligo). Che cosa ha permesso allo spirito civile americano si adattarsi ai tempi senza mutare forma? La perfetta corrispondenza fra cultura civile, etica e politica.
Con questo non intendo elogiare senza misura l'esperienza – imperfetta – d'oltreoceano, ma denunciare un errore logico di chi vuole importare dall'altra sponda dell'Atlantico i risultati sensazionali, senza riconoscerne le cause e i limiti.Per chiarire con una visione d'insieme, sarebbe opportuno porsi due domande (dalle risposte tendenzialmente divergenti): per quali ragioni il sistema politico e partitico statunitense riesce ad autoregolarsi piuttosto efficacemente? Perché il sistema di derivazione statunitense di autoregolamentazione dei mercati non è un modello efficiente ed equo? (Occorre distinguere i piani, occorre agire consapevolmente).
E con ciò, si giunge al secondo punto. Non un solo candidato del centro-sinistra ha citato in questi giorni Obama; non tutti i candidati del centro-sinistra sono “uguali”. Il discriminante è la consapevolezza della citazione.
Chi condivide lo spirito obamiano delle «conversazioni al caminetto» o la spinta americana (e non obamiana) del neo-liberismo (confondendo, inoltre, liberismo e meritocrazia, liberismo e iniziativa personale), fraintende il ruolo della sinistra europea. Chi ha ricordato Obama, a sinistra, elogiandone, invece, l'attenzione alla economia sociale e ambientale, per la quale il Presidente è ancora accusato dai detrattori di essere un socialist (termine spregiativo per molti suoi concittadini), ne ha compreso la reale carica propulsiva. Un uomo di sinistra (italiano) non può disconoscere che il suo obiettivo politico è cercare, fra la via del livellamento e la via delle disuguaglianze determinate dai rapporti di forza o economici, quella della giustizia sociale.
Se l'opera meritoria di Obama presenta caratteri progressisti, questo dipende proprio dall'ineditoeuropeismodella sua politica. Assistenza sanitaria (quasi) pubblica, redistribuzione dei redditi, istruzione garantita a tutti i livelli, integrazione delle minoranze, sostegno ai lavoratori appartengono al centro-sinistra europeo, socialdemocratico e non liberal-progressista in senso classico. 

(Simone Risoli)

sabato 17 novembre 2012

Dedica


A Laerte, 
padre degli uomini
che cercano fra le pagine
mucchi di terra …

(Simone Risoli, 2012)


giovedì 8 novembre 2012

Four more years. Il discorso di Barack Obama

«Stanotte dopo 200 anni dall'indipendenza delle Colonie, il perfezionamento della nostra Unione va avanti. Grazie a voi, che avete riaffermato lo spirito di questo Paese. Ognuno segue il proprio sogno, ma noi siamo un'unica famiglia americana che resta unita. La strada è stata lunga e difficile. Ma ci siamo rialzati, abbiamo combattuto, e sappiamo che per gli Stati Uniti, il meglio deve ancora venire. Voglio ringraziare tutti gli americani che hanno partecipato. Se avete votato all'alba, o aspettato in fila per molto tempo (e dobbiamo risolverlo, questo problema). Se avete girato casa per casa o alzato la cornetta per convincere gli elettori.
Ho parlato con Romney e mi sono congratulato per una campagna combattuta duramente, senza sconti, ma solo perché amiamo entrambi questo paese. Tutta la sua famiglia ha scelto di impegnarsi per il paese. Nelle prossime settimane voglio sedermi a un tavolo con lui per discutere come migliorarlo. Voglio ringraziare il gioioso guerriero d'America, Joe Biden.
Non sarei l'uomo che sono oggi senza la donna che ha accettato di sposarmi 20 anni fa. Michelle, ti amo ora più di prima. Ho visto l'America innamorarsi di te. Sacha e Malia, state crescendo e diventando forti, belle e intelligenti come vostra madre. Ma devo dirvelo: un cane, per ora, è abbastanza...
Alla migliore campagna e ai migliori volontari nella storia della politica americana! Alcuni di voi erano dei debuttanti, altri erano qui dall'inizio, ma tutti di voi siete parte della mia famiglia. Porterete con voi la memoria di un momento storico. Grazie per aver creduto in me durante tutto quello che abbiamo passato e tutto il lavoro incredibile che avete svolto.
Le campagne politiche a volte possono sembrare piccole o sciocche. I cinici dicono che la politica è solo un confronto di ego o la vittoria di interessi particolari. Ma se aveste visto il lavoro dei volontari, avreste scoperto la determinazione degli organizzatori, del ragazzo che studia al college e vuole che anche gli altri abbiano la stessa possibilità, il ragazzo che va porta a porta perché il fratello è stato assunto in fabbrica dove è stato aggiunto un altro turno. Per questo facciamo questo. Per questo le elezioni sono importanti.
La democrazia in un Paese di 300 milioni di abitanti può essere rumorosa e complicata, possiamo avere opinioni diverse, possiamo aprire controversie. Questo non cambierà oggi, né deve. Le nostre discussioni sono parte della democrazia.
Molti Paesi ci guardano come un esempio. Nonostante le nostre differenze, la maggior parte di noi condivide principi comuni. Vuole un futuro per i nostri cittadini fatto di scuole migliori, nuovi posti di lavoro, senza un debito schiacciante, non minacciato da un pianeta che si riscalda. Un Paese sicuro, rispettato e ammirato nel mondo e difeso dal miglior esercito che esista. Un Paese che si muova con fiducia oltre la guerra verso un futuro di pace. Un'America generosa e tollerante, aperta ai sogni di una figlia di immigrati che studia nelle nostre scuole e giura sulla nostra bandiera. Un bambino povero che vuole diventare medico, pompiere, presidente: questa è l'America che va avanti.
Il progresso non è sempre una linea dritta, un processo morbido. Bisogna costruire il consenso e fare compromessi per portare avanti il Paese. L'economia si sta riprendendo, una guerra decennale si sta chiudendo. Anche se non mi avete votato, vi ho ascoltato, ho imparato da voi, mi avete reso un presidente migliore. Con i vostri consigli tornerò alla Casa Bianca.
Stasera avete votato perché ci mettessimo in moto, perché facessimo il nostro lavoro. Ridurre il deficit, riformare il fisco, introdurre nuove leggi sull'immigrazione, ridurre la nostra dipendenza dal petrolio straniero. Ma questo non vuol dire che il vostro lavoro è finito qui. I cittadini devono partecipare continuamente alla vita pubblica: dobbiamo chiederci cosa noi possiamo fare per gli altri.
Abbiamo denaro e l'esercito più potente, ma non siamo ricchi e forti per questo. Abbiamo le migliori università e una tradizione culturale incredibile, ma le nostre menti e i nostri spiriti sono incredibili per un altro fattore. E' il legame che ci unisce. Un titolo che rende l'America unica al mondo. Questo Paese funziona solo se tutti lavoriamo insieme per il futuro fatto di amore, carità, senso del dovere, patriottismo.
Sono pieno di speranza oggi, perché ho visto il sacrificio degli Americani per il loro prossimo. Nei lavoratori che si spaccano la schiena per i colleghi, nell'impegno dei militari, nei Navy Seals che sanno di avere un compagno che li protegge. Nelle coste di New Jersey e New York dove ho trovato un popolo unito per ricostruire i danni della tempesta.
In Ohio un padre mi ha raccontato la storia di sua figlia di 8 anni. E' malata di leucemia e stavano spendendo tutti i soldi che avevano per curarla. Senza la riforma sanitaria che abbiamo passato, la sua assicurazione avrebbe smesso di pagare per le cure. Ogni genitore aveva lacrime agli occhi; tutti sapevamo che quella bimba poteva essere nostra figlia. Questo è ciò che siamo.
Sono orgoglioso di essere il presidente di questa America. Non sono mai stato più fiducioso di stasera. Non parlo di ottimismo cieco. Davanti a noi ci sono ostacoli enormi. Ma io credo che qualcosa di migliore ci aspetterà sempre, se abbiamo il coraggio di continuare a cercarla, di combattere per raggiungerla.
Credo che potremo mantenere la promessa dei Padri fondatori: che se sei disposto a lavorare duro, non importa che tu sia uomo o donna, bianco o nero, ricco o povero, vecchio o giovane, etero o omo, riuscirai a farcela in questo paese e a vedere realizzato il tuo sogno. Siamo più di un insieme di stati democratici e repubblicani, siamo e resteremo gli Stati Uniti d'America e, se Dio vorrà, dimostreremo di essere uniti e che possiamo lavorare insieme per costruire un futuro migliore. 
Grazie. Che Dio vi benedica e benedica questi Stati Uniti d'America».

(Barack Obama)

venerdì 2 novembre 2012

A Pier Paolo Pasolini



Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea 

che al quartiere in penombra si
rapprende.

***
Per il segno che c'è rimasto,
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere più come è andata,
tanto lo sai che è una storia sbagliata


Questo non è un epicedio, un memoriale, un omaggio in senso stretto; e non è nemmeno una biografia, una sintesi delle opere, una ricostruzione storica.
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922...
Un inizio del genere, da enciclopedia o da saggio che, beninteso, gli riservano lo spazio che s'è meritato, non rende il giusto a Pier Paolo Pasolini.
Discutere delle dicerie che circolavano sul suo conto, dei tentativi di sabotarne la carica morale e culturale rivoluzionaria, ricorrere – come, ahimè, sto rischiando – a una predica postuma, a una “retorica su Pasolini” è fuori luogo. Come è fuori luogo il senso di pietà e di commemorazione confinato in un giorno all'anno.
Singolarmente, secondo chi alimenta speranze superstiziose, comunemente, per chi osserva i fatti come tali e cerca di ricavarne un supporto per costruire i propri postulati, la morte di Pasolini avvenne il 2 novembre del 1975. Le circostanze misteriose, le giustificazioni tardive, la denuncia dello stesso Pasolini al clima di “fascismo culturale” che lo avrebbero ucciso sono elementi su cui si deve fare chiarezza. «Una storia mica male insabbiata, una storia sbagliata».
Il motivo per cui ambiziosamente colgo l'occasione per ricordare a me stesso Pasolini mi è chiarissimo.
Pasolini avrebbe potuto salvare l'umanità? Consentitemi questa espressione molto poetica ed estremamente labile. L'atteggiamento intellettuale di Pasolini, se fosse attecchito in Italia, avrebbe salvato l'individuo dal male dell'insipienza. Ma per salvarsi è davvero necessario voler essere salvati. Si obbietterà che un intellettuale non può cambiare lo stato dei fatti, né può, per di più, un intellettuale particolare, un intellettuale che i detrattori con falso eufemismo definivano “singolare”, “appariscente” e i più diretti oppositori consideravano “osceno”, “eversivo”. Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale.
Nella sua vasta produzione, abbozzando il suo ultimo romanzo incompiuto, Petrolio, Pasolini ha scritto la summa dell'essere umano attraverso lo scandalo, la trasformazione, la debolezza, l'infezione, l'ambivalenza; ha tentato di superare il Novecento letterario, aggiungendo alla ricerca del capolavoro lo spirito umanitario dell'interesse civile, scrivendo per volontà e per desiderio.
Il senso della storia era un tormento che individuava nel popolo il soggetto in grado di percepirne l'essenza, nel «grande concerto di scalpelli»: solo il popolo ne ha un sentimento. Il popolo d'altra parte, questa collettività fisica e ideale dai tratti del Marxismo e del Vangelo, è l'origine della contraddizione. Muta ammirazione, idealizzazione, abbandono all'estetica o spinta al cambiamento, lotta di classe, liberazione dal giogo oppressivo, dalle catene inghirlandate dall'arte e dalla morale comune? Con le parole del poeta: 
«Lo scandalo del contraddirmi, / dell'essere / con te e contro te; con te nel core, / in luce, contro te nelle buie viscere; // del mio paterno stato traditore / - nel pensiero, in un'ombra di azione - / mi so ad esso attaccato nel calore // degli istinti, dell'estetica passione; / attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione // la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza: è la forza originaria // dell'uomo, che nell'atto s'è perduta, / a darle l'ebbrezza della nostalgia, / una luce poetica: ed altro più // io non so dirne, che non sia / giusto ma non sincero, astratto / amore, non accorante simpatia...». (Le ceneri di Gramsci)
Un ingente contributo all'affrancamento culturale, percepito in forte connessione con la possibile emancipazione fisica e concreta degli individui, fu la risposta implicita di Pasolini a quanti con le maniere borghesi della doppia morale, con la moderatezza esteriore che celava l'intolleranza e esprimeva il conformismo come valore imperante dell'Italia del dopoguerra, si opponevano alla libertà di pensiero.
Così, in una celebre intervista di Enzo Biagi:

B. Che cosa ci trova di così anormale (l'argomento è "il successo" che Pasolini ha definito "altra faccia della persecuzione", N.d.A.)? 
P. Perché la televisione è un medium di massa, e come tale non può che mercificarci e alienarci. 
B. Ma oltre ai formaggini e al resto, come lei ha scritto una volta, adesso questo mezzo porta le sue parole: noi stiamo discutendo tutti con grande libertà, senza alcuna inibizione. 
P. No, non è vero. 
B. Si, è vero, lei può dire tutto quel che vuole. 
P. No, non posso dire tutto quello che voglio. 
B. Lo dica!
P. No, non potrei perché sarei accusato di vilipendio, uno dei tanti vilipendi del codice fascista italiano. Quindi in realtà non posso dire tutto. E poi, a parte questo, oggettivamente, di fronte all'ingenuità o alla sprovvedutezza di certi ascoltatori, io stesso non vorrei dire certe cose. Quindi io mi autocensuro. Comunque, a parte questo, è proprio il medium di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video, ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico. 

Non è stato forse Pasolini un (inaudito) profeta del nostro tempo?

(Simone Risoli)