sabato 21 aprile 2012

II. Libertà e arbitrio. Libertà individuale e collettiva

Se non intuitivamente immediato, è intellettualmente doveroso distinguere fra una libertà collettiva e una individuale.
Storicamente, la prima forma fa riferimento all'ideologia socialista, per la quale la ricerca di emancipazione dell’uomo, attraverso il raggiungimento della libertà negativa e positiva assieme, si conclude nell’istituzione della società senza classi sociali, di cui tratta Marx nel Manifesto e nella Critica al programma di Gotha. Solo allora, abolite le gerarchie e le disuguaglianze economiche, la libertà diviene, secondo il marxismo, diritto dell’intera umanità e non più prerogativa o privilegio di pochi; la libertà si combina necessariamente (o, talvolta, si subordina) con un altro principio, quello di uguaglianza: nella società comunista gli uomini sono ugualmente liberi e si raggiunge la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo.
Dall’altra parte, il pensiero liberale tende a propugnare l’ideale di libertà individuale, diritto inalienabile della persona, contro l’eccessiva ingerenza dello Stato.
Detta “liberale” quest’ultima concezione e “libertaria” la prima, esse differiscono non unicamente per il diverso ordine gerarchico tra libertas e aequitas (i principi di libertà e uguaglianza), ma anche nel considerare la società un insieme di individui liberi (concezione liberale) piuttosto che una libera associazione di uomini in cui sia dato a ciascuno secondo il suo bisogno e richiesto secondo la capacità (concezione rousseauiana-marxista). In altre parole, si può concludere che la dottrina liberale insiste sulla libertà come valore individuale, determinando la superiorità dell’individuo sulla società, mentre quella libertaria riconosce nel gruppo, nella classe il vero soggetto da rendere libero. Benché non sia opportuno liquidare la questione in poche righe, è invece necessario considerare quali rivolgimenti estremi (degenerazioni per alcuni, conseguenze intrinseche per altri) sottintendano le due concezioni. Se, infatti, nella visione liberale è intrinseco un individualismo in potenza, quella libertaria non esclude il rischio di omologazione e restrizione delle libertà civili individuali a favore di un canone universale (la volontà generale, ad esempio). Ne derivano limiti, ma anche vantaggi, da cui entrambe le forme risultano inevitabilmente affette (limiti che si devono identificare in primo luogo con una assenza di equilibrio proporzionale fra uguaglianza e libertà).
Durante il Ventennio Fascista in Italia, Emilio Lussu e Carlo Rosselli fondarono il movimento di Giustizia e Libertà (1929), primo nucleo del Partito d’Azione a cui, nel dopoguerra e già durante la Resistenza, aderiranno diversi intellettuali come Montale e Bobbio. Non a caso, lo studio bobbiano dei concetti di giustizia, uguaglianza e libertà approda ad una sintesi tra le posizioni socialiste e quelle liberali, propria del movimento di Rosselli.
Bobbio individua i concetti sopraccitati come fondanti di ogni Stato democratico, fissandone in primo luogo la natura concettualmente differente: la libertà è riconoscibile in linea di massima come carattere intrinseco e proprio del soggetto, l’uguaglianza una relazione formale tra individui.
Perché questa necessaria valutazione sempre oscillante fra un'attenzione ai diritti individuali e a una dimensione di esercizio collettivo delle libertà?
Si possono offrire due risposte provvisorie. Una prima, di rilevazione sperimentale: l'organizzazione sociale degli stati in cui viviamo prevede, allo stesso tempo diritti che possono essere fruiti, quasi "consumati" e di cui si può disporre quasi arbitrariamente; altri che devono essere implementati, cioè "riempiti", costruiti in una dimensione esterna a quella del soggetto/individuo (si pensi allo sciopero). Alcune di queste libertà sono individuali (informazione, libertà di pensiero), ma assumono un carattere nuovo o superiore (un livello di maturità) solo nel loro esercizio collettivo: il diritto di espressione del pensiero sarebbe del tutto svuotato, mutilato dall'impossibilità della sua diffusione.
Una seconda risposta è di tipo costruttivo. Abbiamo rilevato i limiti delle due concezioni: arbitrio-individualismo da una parte, omologazione dall'altra. 
"Arbitrio", in particolare (fare tutto quel che si desidera) è oggi una grande forma di illibertà.    
Corrado Augias, nel suo ultimo saggio Il disagio della libertà, scrive:
In novant’anni di storia, dal 1922 al 2011, abbiamo avuto il Ventennio fascista e il quasi-ventennio berlusconiano: per poco meno di metà della nostra vicenda nazionale abbiamo scelto di farci governare da uomini con una evidente, e dichiarata, vocazione autoritaria. Perché? Una risposta possibile è che siamo un popolo incline all’arbitrio, ma nemico della libertà. Vantiamo record di evasione fiscale, abusi edilizi, scempi ambientali. Ma anche di compravendita di voti, qualunquismo: in poche parole una tendenza ad abdicare alle libertà civili
La libertà, intesa come il rispetto e la cura dei diritti di tutti - conclude l'autore - non è un’utopia da sognare ma un traguardo verso cui tendere.

(Vedi anche "La vera libertà")

(Simone Risoli)

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