Non starò più a cercare parole che non trovo
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo,
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro
e partorire il topo vivendo sui ricordi,
giocando con i miei giorni, col tempo.
O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti.
Io parlo sempre tanto, ma non ho ancora fedi,
non voglio menar vanto di me o della mia vita,
costretta come dita dei piedi.
Queste cose le sai, perché siam tutti uguali
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali,
perché siam tutti soli ed è nostro destino
tentare goffi voli d'azione o di parola,
volando come vola il tacchino.
Non posso farci niente e tu puoi fare meno,
sono vecchio d'orgoglio, mi commuove il tuo seno
e di questa parola io quasi mi vergogno;
ma c'è una vita sola, non ne sprechiamo niente
in tributi alla gente o al sogno.
Le sere sono uguali, ma ogni sera è diversa
e quasi non ti accorgi dell'energia dispersa
a ricercare i visi che ti han dimenticato,
vestendo abiti lisi, buoni a ogni evenienza
inseguendo la scienza o il peccato.
Tutto questo lo sai e sai dove comincia
la grazia o il tedio morte del vivere in provincia,
perché siam tutti uguali, siamo cattivi buoni
e abbiamo stessi mali, siamo vigliacchi e fieri,
saggi, falsi, sinceri coglioni.
Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata?
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata;
tienila in mia memoria, ma non è un capitale,
ti accorgerai da sola (nemmeno dopo tanto)
che la noia di un altro non vale.
D'altra parte, lo vedi, scrivo ancora canzoni
e pago la mia casa, pago le mie illusioni,
fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi,
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare,
bere, leggere, amare, grattarsi...
(F. Guccini, da Via Paolo Fabbri 43 )
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