Ripubblicazione, in occasione delle nuove elezioni del 17/6, dell'articolo del 19/5/2012
Qualcuno considererà irrilevante
questo mio intervento. Irrilevante perché tardivo, dal momento che
nuove elezioni e nuovi risultati si attendono per il prossimo 17
giugno. Irrilevante perché prematuro, dal momento che si denuncia
anticipatamente una situazione ancora per nulla problematica. Ma, su
un più ampio piano di riflessione, quel che si è profilato dal 6
maggio scorso è esattamente il risultato di uno scambio fra la
democrazia delle libertà e lo stato di sicurezza che, in questa sua
dimensione, non può non allarmare e riguardare ogni cittadino di
qualsiasi nazione.

La Grecia è un Paese all'attenzione della cronaca. All'attenzione della cronaca perché è l'emblema della crisi economica; all'attenzione della cronaca per l'interesse dei creditori internazionali, interesse duplice: perché fallisca e perché non fallisca, uno strano caso in cui il principio di non-contraddizione non vale. Il Governo greco uscente ha trattato da poco le condizioni del debito con creditori, che hanno accettato una riduzione degli interessi per evitare l'insolvenza dello Stato da cui avrebbero perso l'intero capitale. Fra i creditori della Grecia, qualcuno, onesto speculatore, “ha scommesso” sul fallimento del debitore da cui avrebbe ricavato maggior profitto rispetto al banale incasso degli interessi su prestiti e titoli di Stato (d'altra parte, quando si tratta di profitto, solo qualche visionario è incapace di sano realismo...).
La Grecia, in sintesi – si scriveva
qualche giorno fa su un quotidiano italiano – è “lo spauracchio
che si agita ai Paesi europei” per ammonire: «Comportatevi
bene o farete la fine della Grecia!».
D'altra parte, la Grecia partecipa
pienamente di una situazione generale, europea, globale. Un
intellettuale d'altri tempi avrebbe definito la Grecia l'incarnazione
di una crisi della coscienza.
Il 6 maggio 2012, in Grecia, sono stati
proclamati i risultati elettorali. I consensi del partito storico di
centro-sinistra, il Pasok, al governo negli ultimi anni, sono
precipitati dal 43% del 2009 al 13%; quelli di Nea Democratia,
partito moderato di centro-destra europeo, dal 33,5% al 18,85%;
Syriza, movimento di sinistra, dal 24,6 al 17%. Il KKE, il partito
comunista ellenico, ha guadagnato un punto percentuale, ottenendo
l'8,5% dei voti. Ma soprattutto, per la prima volta dopo la caduta
del regime dei Colonnelli, la dittatura del periodo 1967-1974, i
gruppi neo-nazisti sono entrati trionfalmente in Parlamento.
È ovvio che le nuove elezioni
porteranno con sé un cambiamento (è bene convincersene).
Intanto, senza allarmismi esagerati, i
nazisti sono entrati in casa di Platone. E qualcuno, prima che ogni
tentativo di formare un Governo, per via della frammentazione
politica, conducesse allo scioglimento della Camera, considerava
seriamente la possibilità di includerli nell'esecutivo, perché
(esperienze più vicine lo insegnano), quando si tratta di governare
un Paese in crisi si accantonano le divergenze. Oppure, perché,
quando si tratta di mantenere il primato del governo, ogni
sostenitore è benvenuto: la giustificazione del potere diventa la
sua conservazione.
Pochi hanno riconosciuto che l'ingresso
trionfale dei nazisti in casa di Platone è il segno del progressivo
scambio fra le libertà politico-civili e le false istanze di
sicurezza, dietro cui si celano l'esaltazione del razzismo, del
conflitto armato e della repressione delle minoranze. Pochi
riconoscono che il furore delle soluzioni semplici e anti-libertarie
rischi di diventare la risposta prediletta dal disagio sociale e
dall'insofferenza generale.
Alba d'Oro, partito greco di estrema
destra, ha conquistato quasi il 7% dei voti (nel 2009 contava lo
0,29%). Il segretario del partito si è affrettato a invocare il
ritorno alla dracma e a reclamare mine
anti-uomo anti-immigrati lungo i confini con la Turchia,
aggiungendo
tra l'altro: «Mi risulta che altri Paesi utilizzino i cannoni contro
gli sbarchi clandestini...»
(alcuni noteranno la triste assonanza con la frase «Qualcuno
ricorda forse l'eccidio degli Armeni?»).
So
che la situazione politica greca risente fortemente della crisi
economica. In forza di questo, mi convinco che l'assistenza statale
(sul piano giuridico) e la solidarietà civile (sul piano sociale) e
non l'odio razziale, il culto del capo, la ricerca del capro
espiatorio sono le soluzioni. La Grecia non è un caso isolato (si
ricorda soltanto l'enorme successo di Marie Le Pen nelle recenti
elezioni presidenziali francesi). Un “irrilevante” 7% non è
irrilevante. Incorpora un forte impulso anti-liberale e
anti-egualitario. Traduce
in concreta possibilità di incidere sulla politica,
e quindi sulla collettività e sulle libertà degli individui, le
spinte irrazionali e repressive della dignità umana.
Quando l'Europa ha conquistato il costituzionalismo ha aggiunto all'eredità greca della democrazia, il luogo in cui il popolo conta, quella della cultura democratica: ha riconosciuto nella libertà e nell'uguaglianza due valori intangibili.
Quando l'Europa ha conquistato il costituzionalismo ha aggiunto all'eredità greca della democrazia, il luogo in cui il popolo conta, quella della cultura democratica: ha riconosciuto nella libertà e nell'uguaglianza due valori intangibili.
La
storia è la lineare dimostrazione del principio per cui la
repressione dei diritti è questione quantitativa:
una volta che la si rende possibile, va alla deriva.
Basta creare un
precedente. Tutto sta a iniziare. Si parte dall'assunto che “togliere
un granello di sabbia al mucchio non fa la differenza”.
E
quando rimangono pochi granelli, il mucchio non esiste più.
(Simone Risoli)
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