venerdì 8 giugno 2012

Apriamo la questione ambientale!


Aprire le questioni aperte è una scelta tautologica? 
L’evoluzione biologica del genere umano offre la particolarità di essere stata storicamente affiancata da una sua "evoluzione culturale". Culturalmente non si può escludere (come è verificabile) il progresso delle popolazioni, che si manifesta chiaramente in ambito tecnologico ed economico e, anzi, rende attuale la discussione sulla “crescita” (termine improprio) delle popolazioni.
Superati alcuni limiti, o rischiando di rasentarli, ai concetti di continua "crescita" e "progresso" si richiede di associare quello di "sostenibilità".
Per ecosostenibilità si intende una forma di sviluppo (comprendente quello economico, urbanistico, delle comunità) che non compromette la possibilità delle future generazioni di perdurare (nella crescita, ma innanzitutto come specie esistente), preservando la qualità e la quantità del patrimonio e delle riserve naturali (che sono esauribili). L'obiettivo è di mantenere uno sviluppo economico compatibile con l'equità sociale e gli ecosistemi: è necessario operare, quindi, in regime di equilibrio.
L’invito prosegue, dunque, in questa direzione: concepire lo sviluppo sostenibile non tanto come un vincolo dogmatico e surreale cui attenersi, quanto come constatazione e consapevolezza dell’im-possibilità di un prelievo illimitato delle risorse, delle quali viene confutata l’inesauribilità.
Per queste ragioni, tale tipo di “sviluppo atipico”, che i criteri tradizionali di crescita (il PIL, ad esempio) misurano negativamente, non si può considerare una misura restrittiva o reazionaria, bensì un approccio razionale e innovativo alla società, alla politica, all’economia.
Se la questione merita di essere affrontata, dopo essere stata timidamente aperta o ideologizzata o demonizzata invocando il benessere sinonimo di tecnologia e di accrescimento sconsiderato (riflesso sul piano collettivo-consumistico dell'idea egoistica di appropriazione), la ragione è duplice: è necessario ed è razionale.

I presupposti teorici: la questione ambientale come rivoluzione morale.
Razionalmente la questione è urgente e delicata. Urgente, perché la soluzione fra crescita irrazionale ed ecosostenibile non è rimandabile: si tratta di valutare comparativamente, come su una bilancia, la sopravvivenza delle specie della Terra (tra cui il genere umano) e lo sviluppo economico secondo le tendenze attuali. Delicata, perché la scelta pone in termini specifici un dualismo più generale e astratto, ovvero quello della scelta morale e sociale fra egoismo e convivenza, tema che rischia di essere politicamente eluso, mentre si riflette (e quindi dovrebbe essere affrontato) almeno su tre piani: ambiente (appunto), lavoro, previdenza (o, più ampiamente, assistenza) sociale.
Proprio questi temi, fra altri, sono forse criterio di misura di una nuova libertà morale, perché si sviluppano nella dimensione della inter-temporalità: riguardano la co-esistenza fra individui (nello spazio) e fra generazioni di individui (nel tempo); permettono di interrogarsi sulla moralità della propria azione in base agli effetti che essa produce in relazione alla totalità degli uomini, in ogni tempo.

(Simone Risoli)

2 commenti:

  1. La capacità dell’Uomo di crearsi un ecosistema proprio all’interno di quello dato, le cui regole siano gestite dall’umanità stessa (vedi, a questo proposito, il racconto “Tlön, Uqbar, Orbis Tertius” di Borges, nel libro “Finzioni”), taglierà progressivamente il cordone ombelicale che lega Umanità e Natura. Non è da escludere che l’Uomo arrivi ad emanciparsi completamente dalla natura, e che riesca infine ad esistere solo in un ambiente di natura antropica e antropocentrica. Se l’Uomo arriverà a questo punto, sarà in virtù del potere datogli dall’assoggettamento dell’ambiente, a sua volta guidato da un innato impulso di sfruttamento, dominazione e (darwinianamente) sopravvivenza.
    È altresì vero che dell’emancipazione dal mondo naturale fanno parte (o almeno così sembriamo credere) l’autocoscienza e la razionalità; non è detto che queste due componenti non bilancino la cieca volontà di adattamento umana. (…posto che non ne siano a loro volta delle gemmazioni)
    Una provocazione e un saluto da Perugia
    Luigi

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    1. Forse l'uomo esiste già (provocatio ad provocationem) in un ambiente di natura antropocentrica. Dell'emancipazione dell'uomo dalla natura possono far parte autocoscienza, razionalità e (se si intende "natura" come sistema di valori o verità immutabili) criticismo. Ma se si esce da una disputa nominalistica cui il termine "natura" deve sottostare, la razionalità stessa impone di riflettere sulla "scientificità" di una possibile autarchia umana e sulla direzione che gli uomini intendono imprimere alla loro evoluzione culturale. Far discendere conclusioni di valore da elementi puramente fattuali sarebbe aperta violazione della legge di Hume.
      D'altra parte, almeno una considerazione è opportuna. La questione ambientale è, in primis, questione umana, ponendo questa un aggravamento rispetto a quella "biologica" (darwinianamente derivata dalla prima): la morale latamente intesa. Al momento la ragion pratica delinea una via filantropica, che permette lo sviluppo inter-soggettivo al massimo livello, e una via egoistica, per cui massimo sviluppo equivale a massima affermazione individuale. Tertium non datur
      (Ovviamente, nulla esclude che si possa muovere da presupposti diversi: a ogni negazione di postulato, una geometria diversa...)
      A presto

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