giovedì 21 giugno 2012

Ballata per John Donne

John Donne, penso, era un altro così (…)
conosceva l’angoscia del midollo,
la terzana dello scheletro,
nessun contatto possibile alla carne
gli placava la febbre delle ossa... 
(T.S. Eliot)
Proprio non sentiva il ritmo di terzana
traversargli il corpo freddo raggelato
e Dio battergli il petto concavo e vuoto,
ma il mite Mediterraneo strappargli
un ettaro di pelle a ogni secolo
di storia passata con gli uomini
e, quando un guscio vuoto volle
a contenergli il vuoto guscio,
non gli restava scheletro per le larve.

Non sentiva proprio il ritmo di ballata,
ma le campane a festa,
funebre fanfara festosa,
la sposa eterna dell'Amore
e non il canto degli amanti traditori
sbeffeggiare, né Dio battergli il petto
o violentargli l'anima di assilli,
né i cerchi disegnati sulla carta
perché glieli strappava l'onda.

E la dimora che restava,
palafitta sull'Atlantico.
Diventava muta la campana. Ora ancora
suona per le isole sperdute in alto mare,
per gli sfiniti sensi e i bulbi degli occhi
appassiti a superare l'orizzonte.
Si ama anche (epigrafava) col carbonio
delle ossa – ed è così che voglio amare,
uomo, donna, terra, umanità, disumanità...

Disumanità, soprattutto.

(Simone Risoli, giugno 2012)


Alcuni testi di J.Donne: Song (Go And Catch A Falling Star), No man is an island, A Valediction: Forbidding Mourning, Batter my heart.
La poesia di Eliot è Sussurri di immortalità.

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