Scriveva un insigne storico dell'architettura che occuparsi dell'arte dei Greci pone lo studioso in una situazione di grande difficoltà: poter indagare quei remoti abitanti dell'Attica lucidamente, sine ira et studio, criticamente, senza essere coinvolti in prima persona per il debito culturale che si conserva nei loro confronti. La difficoltà insita in questa operazione è il rischio di creare confusione, rivolgendosi a chi ascolta con la presunzione o la certezza che ciascuno partecipi pienamente all'argomento. Trasmettere e percepire la poesia è un'operazione logorante che impegna l'interezza di sé: la poesia si scrive e si legge con l'interezza della persona e del corpo (così anche Pasolini).
Fuor di metafora, per quanto affascinante sia occuparsi di poesia, proprio questo è il principale limite alla sua spiegazione. Qualcuno si è mai chiesto perché la poesia o l'arte, generalmente, si comunicano e non si spiegano? Questo non significa che nella poesia non esista nulla di razionale: la storia della letteratura contraddice la certezza di una natura puramente intuitiva dell'arte. Si pensi a Leopardi (La ginestra) e a Eliot. Quest'ultimo fu accusato da un poeta suo contemporaneo di essere un freddo, arido, servile «stupratore di Dante e galoppino di Hegel».
D'altra parte, la poesia non è nemmeno, a dispetto dell'etimologia, attività tecnica: è difficile indicarne le "fasi di produzione" e, ad ogni interpretazione, ciascuna fase non viene soltanto ricostruita, ma spesso integrata e creata ex novo. Proprio questo è il primo motivo, a mio avviso, dell'utilità poetica attuale. Il primo modo per essere “compromessi” con la poesia è la lettura. Leggere e interpretare significa vivificare: questo approccio alla poesia permette una sua riscrittura “utile” all'individuo (e alla società degli individui). Borges lo riassumeva simbolicamente in un personaggio che, intento a tradurre il Don Chisciotte di alcuni secoli prima, vi riconosceva i fatti presenti, al punto da iniziare a riscriverne la storia, plasmandola sugli avvenimenti attuali.
È fondamentale una premessa, a mio avviso. Trattare di “utilità” della poesia è un modo volutamente provocatorio per rivolgersi a chi sostiene che l'essenza della letteratura sia proprio l'assenza di una finalità. Affermare che la poesia sia “utile” non significa assegnarle un valore economico, ma riconoscerle un ruolo individuale, psicologico, sociale, universale, esistenziale; significa non relegarla nell'anonimato, nelle attività di evasione, ma riconoscerle un ruolo indispensabile. Significa quantomeno discutere se e in che modo la poesia possa contribuire alla umanità o, come scriveva Mario Luzi, alla salvezza dell'uomo.
Fuor di metafora, per quanto affascinante sia occuparsi di poesia, proprio questo è il principale limite alla sua spiegazione. Qualcuno si è mai chiesto perché la poesia o l'arte, generalmente, si comunicano e non si spiegano? Questo non significa che nella poesia non esista nulla di razionale: la storia della letteratura contraddice la certezza di una natura puramente intuitiva dell'arte. Si pensi a Leopardi (La ginestra) e a Eliot. Quest'ultimo fu accusato da un poeta suo contemporaneo di essere un freddo, arido, servile «stupratore di Dante e galoppino di Hegel».
È fondamentale una premessa, a mio avviso. Trattare di “utilità” della poesia è un modo volutamente provocatorio per rivolgersi a chi sostiene che l'essenza della letteratura sia proprio l'assenza di una finalità. Affermare che la poesia sia “utile” non significa assegnarle un valore economico, ma riconoscerle un ruolo individuale, psicologico, sociale, universale, esistenziale; significa non relegarla nell'anonimato, nelle attività di evasione, ma riconoscerle un ruolo indispensabile. Significa quantomeno discutere se e in che modo la poesia possa contribuire alla umanità o, come scriveva Mario Luzi, alla salvezza dell'uomo.
(...)
Esiste una definizione di poesia?
Il termine “poesia” assorbe una serie di concetti: questo è il nucleo del problema. Definire il termine, significa trovare soluzione a ogni contrasto intorno alla poesia.
Ma definire che cosa sia "poesia" è, allo stesso tempo, il risultato finale della ricerca, come scegliere un'unità di misura presuppone che quel che si vuole studiare è misurabile.
Su un significato convenzionale-provvisorio bisogna, però, accordarsi per procedere a un'analisi successiva.
Nell'immaginario comune vale l'equazione (spesso criticata, cfr. Sanguineti) poesia = andare a capo a fine verso. Vorrei proporne invece un'accezione più ampia in cui "poetica" sia sinonimo, in senso lato, di "concezione dell'esistenza": ogni uomo è poeta (come afferma Gramsci) nella misura in cui «non si può separare l'homo faber dall'homo sapiens»e, cioè, ogni uomo è «un filosofo, un artista, un uomo di gusto, partecipa di una concezione del mondo, ha una consapevole linea di condotta morale».
(...) In definitiva, non credo che la poesia debba essere inutile per potersi considerare degna, né penso che la poesia “utile” sia “nociva” (...).
Credo, però, che la poesia “utile” – non in senso economico-utilitaristico, ma nel senso di elemento per la conoscenza e strumento propositivo in ambito sociale – oltre a non essere nociva, sia “benefica”. Conoscendo persone estranee alla poesia, percepisco l'incompatibilità, la mancanza di tentativo, di avvicinamento dettato dalla domanda: A che serve?
È vero che l'avvicinamento è reciproco. Non si può negare l'essenza della poesia per renderla un prodotto ambìto e commerciale: sarebbe celebrarne il funerale nel peggiore dei modi.
Ciò che intendo dire è altro: se nella poesia il poeta riesce a riscoprire la sua completezza di uomo come individuo, come animale sociale, come essere gettato nell'universo, potrà aggiungere alla sua passione una aspettativa (politica?) di cambiamento, un tentativo di riforma culturale, un approccio nuovo alla realtà.
Con ciò la poesia non si corrompe ma, a mio avviso, si vivifica. Rendendola utile in questo senso, non la si sta piegando a esigenze esterne (il mercato), ma le si conferisce una funzione totalizzante. Si arriva, pertanto, a una conclusione provvisoria. Se non è possibile una definizione risolutiva del termine “poesia” sul piano critico, è ammissibile una conclusione provvisoria personale. Si potrebbe affermare: la ragione, in quanto empirica, ammette conclusioni che la ragione stessa, in quanto universale, deve cautamente escludere.
La poesia è una scelta di vita. Una scelta lato sensu.
Come le scelte può essere anche irrazionale: “c'è chi ama calcare con le ruote ardenti del carro la meta... chi solcare gli oceani... chi arare i suoi campi a condizioni attaliche... ma basta includermi nella cerchia dei poeti e sfiorerò col capo leggero gli astri” (scrive, più o meno, Orazio). Tuttavia, si può tentare comunque una spiegazione razionale della scelta: la razionalità, in misura diversa nelle persone, è una delle componenti fondamentali della scelta.
Nel romanzo di uno dei miei autori preferiti, Thomas Mann, il protagonista Serenus Zeitblom racconta un episodio della sua infanzia che lo aveva affascinato: nella sua casa di campagna aveva osservato il padre del suo fraterno amico immergere un cristallo in una soluzione salina e, estraendolo, vederlo accrescersi. Nelle pagine che seguono il protagonista racconta che da allora si sarebbe edicato alla letteratura.
L'accostamento può sembrare sconnesso con ciò di cui stavo parlando. Il nesso, invece, è questo: in quella reazione chimica perfettamente spiegabile, fase per fase, il protagonista, in tenera età, non coglie i particolari scientifici, ma si abbandona al richiamo quasi mistico di quell'esperienza.
Dedicarsi alla letteratura (e alla poesia) è in parte simile. Non penso che significhi abbandonarsi a fantasticherie senza senso (la mia formazione rigidamente razionale lo escluderebbe categoricamente), ma, invece, cercare soluzioni sempre provvisorie laddove non se ne conoscono. Davanti alla realtà il poeta moderno deve essere consapevole che nei fatti che osserva sta scorrendogli davanti "la verità" (quella scientifica, quella logica...). La sua opera non è cogliere quella verità nella natura, ma nemmeno creare la natura. È intuire e sviluppare una consapevolezza nuova, con la coscienza del limite della sua intuizione. "Da ragazzo te ne stavi lunghe ore / sulla riva del torbido Spoon / a fissare la tana del gambero [...] / e ti domandavi rapito nel pensiero / cosa sapesse, cosa desiderasse e perché mai vivesse" ("Theodore il poeta", E.L.Masters).
La poesia è una maggiore consapevolezza.
Appropriarsi della poesia (anche con la lettura) è riappropriarsi del linguaggio (e con questo del ragionamento) e del linguaggio poetico (e con questo della flessibilità mentale).
( Simone Risoli, A cosa serve la poesia? )
Come le scelte può essere anche irrazionale: “c'è chi ama calcare con le ruote ardenti del carro la meta... chi solcare gli oceani... chi arare i suoi campi a condizioni attaliche... ma basta includermi nella cerchia dei poeti e sfiorerò col capo leggero gli astri” (scrive, più o meno, Orazio). Tuttavia, si può tentare comunque una spiegazione razionale della scelta: la razionalità, in misura diversa nelle persone, è una delle componenti fondamentali della scelta.
Nel romanzo di uno dei miei autori preferiti, Thomas Mann, il protagonista Serenus Zeitblom racconta un episodio della sua infanzia che lo aveva affascinato: nella sua casa di campagna aveva osservato il padre del suo fraterno amico immergere un cristallo in una soluzione salina e, estraendolo, vederlo accrescersi. Nelle pagine che seguono il protagonista racconta che da allora si sarebbe edicato alla letteratura.
L'accostamento può sembrare sconnesso con ciò di cui stavo parlando. Il nesso, invece, è questo: in quella reazione chimica perfettamente spiegabile, fase per fase, il protagonista, in tenera età, non coglie i particolari scientifici, ma si abbandona al richiamo quasi mistico di quell'esperienza.
Dedicarsi alla letteratura (e alla poesia) è in parte simile. Non penso che significhi abbandonarsi a fantasticherie senza senso (la mia formazione rigidamente razionale lo escluderebbe categoricamente), ma, invece, cercare soluzioni sempre provvisorie laddove non se ne conoscono. Davanti alla realtà il poeta moderno deve essere consapevole che nei fatti che osserva sta scorrendogli davanti "la verità" (quella scientifica, quella logica...). La sua opera non è cogliere quella verità nella natura, ma nemmeno creare la natura. È intuire e sviluppare una consapevolezza nuova, con la coscienza del limite della sua intuizione. "Da ragazzo te ne stavi lunghe ore / sulla riva del torbido Spoon / a fissare la tana del gambero [...] / e ti domandavi rapito nel pensiero / cosa sapesse, cosa desiderasse e perché mai vivesse" ("Theodore il poeta", E.L.Masters).
La poesia è una maggiore consapevolezza.
Appropriarsi della poesia (anche con la lettura) è riappropriarsi del linguaggio (e con questo del ragionamento) e del linguaggio poetico (e con questo della flessibilità mentale).
( Simone Risoli, A cosa serve la poesia? )
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