È strano come i pochi cultori di poesia replichino all'accusa di inutilità della poesia stessa: la bellezza dell'inutile è la vera bellezza. Una sentenza ben costruita che viene spesso svuotata di significato. Nasconde infatti un'eredità filosofica, estetica, letteraria che si può sintetizzare nella formula di Kant «la bellezza della natura è finalità senza scopo», ovvero è armonia (finalità) ma non ha un utilizzo, un impiego, non è strumentale (senza scopo). La bellezza è fine a se stessa. Ma davvero la poesia (e l'arte) è salvata solo dalla sua inutilità? È possibile la poesia come forma utile?
L'utilità non corrompe la poesia. Ovviamente, “utilità” si può intendere almeno in due sensi: “utilità” come funzione o come spendibilità. Il secondo caso è il più semplice: la forma “poesia” deve essere inutile nella misura in cui una poesia economica, profittevole, «di consumo immediato muore appena è espressa» (Montale, 1975). Una poesia con una funzione (sociale, politica, emotiva, universale, psicologica) è una poesia utile, ma la sua utilità non la degrada affatto, anzi, la eleva.
Tante sono le indicazioni storiche e letterarie che inducono a escludere l'integrità della sola arte inutile (molti cultori della pittura ottocentesca sanno che il carattere sociale, di denuncia e di rinnovamento sono elementi fondamentali).
Questo accenno a una questione tanto complessa non si esaurisce così. Resta da domandarsi quale poesia è ancora possibile. In questo caso come in altri, credo che l'orientamento della risposta dipenda dal punto in cui si vuole porre la partenza. Fatta questa premessa, a mio avviso non esistono una poesia utile e una inutile, ma esiste la possibilità di scrivere poesia in modo diversamente utile. Bisogna quindi concludere che tutto quel che è scritto “andando a capo a fine verso” (Sanguineti) sia poesia? Ancora, a mio avviso, bisogna chiedersi quale poesia sia possibile.
La poesia che si emancipa dalla colpa dell'utilità a cui io mi dedicherei è una poesia colta, ma non erudita. La poesia che io sceglierei è una forma di sperimentazione. Inutile, forse, è soltanto la pseudo-poesia (e la pseudo-canzone) che oscilla fra la legge di mercato e l'inflazione delle immagini (per intenderci, le rime obbligate “cuore-amore”, i testi che devono «parlare di gabbiani»). La poesia colta, delle regole e del lettore preparato, che per Valerio Magrelli è l'alfabetizzazione di chi si approccia alla lettura, non può prescindere da una base di consapevolezza personale: diventa terreno di confronto e curiosità. Deve anche essere, secondo me, stimolo ad approfondire la realtà e occasione di conoscenza; la poesia non è altro che approfondimento della realtà, sotto prospettive e sensibilità diverse. Come chi ascolta una sinfonia inizia a mostrare il suo interesse nel momento in cui si interroga sulle battute, sulle note e sul loro possibile significato, così un termine complesso, una figura retorica, un significato oscuro offrono la possibilità di un'apertura mentale che il lettore interessato ad approfondire vorrà ricercare.
E però, poesia colta (spesso sembra essere dimenticato) non deve significare poesia elitaria, monopolio di pochi adepti, ma una sintesi fra la cultura "dotta" (difficoltà), nella misura in cui essa sperimenta, e la cultura "popolare" (accessibilità), nella misura in cui essa richiama immediatamente, rievoca, risuona, commuove, si lascia ascoltare.
Una poesia 'democratica', in conclusione, si rivolge a tutti, ma come un'offerta alla ricerca, il che è altro dal consumo immediato.
E però, poesia colta (spesso sembra essere dimenticato) non deve significare poesia elitaria, monopolio di pochi adepti, ma una sintesi fra la cultura "dotta" (difficoltà), nella misura in cui essa sperimenta, e la cultura "popolare" (accessibilità), nella misura in cui essa richiama immediatamente, rievoca, risuona, commuove, si lascia ascoltare.
Una poesia 'democratica', in conclusione, si rivolge a tutti, ma come un'offerta alla ricerca, il che è altro dal consumo immediato.
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