domenica 21 settembre 2014

Disattenzioni

Stamattina mi sono comportato male nel cosmo.
Ne sono quasi certo, sicuro. Avrei potuto indubbiamente fare molto più di quel che non ho fatto e omettere molte lunghe inutili pause; avrei potuto – facciamo l’esempio – anche essere più felice, se non addirittura contribuire a rendere felice qualcun altro. Ma non ho fatto nulla di tutto questo. E, anzi, non mi sono nemmeno soffermato un momento a chiedermi cosa di uguale o di diverso avrei potuto fare.
Ho scorso col dito la pagina.
Oggi, per esempio – ma anche per l’intero anno in cui sono mancato da questo “luogo” – ho passato tutto il giorno senza stupirmi.
Eppure è così strano, ripensandoci. Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti, perfino nell’ambito ristretto di un batter d’occhio. Su un tavolo più giovane, una mano più giovane a tagliare il pane di ieri diversamente; le nuvole come non mai, la pioggia come non mai: dopotutto cadevano gocce diverse da sempre.
Eppure avevo scordato, stamattina, le parole di Russell? Quelle parole sulla felicità, sulla felicità aperta e disponibile, a cui non pone limiti la ragione. La felicità che ristagna e si perde nella tomba del “nulla di nuovo sotto il sole”. La rigida, fredda convinzione che nulla esiste di più razionale del flusso uguale, se non peggiore, del tempo; il romanticismo titanico di abbandonarsi all’eroica e gloriosa rassegnazione.
Eppure – dall’altro lato – ho ricordato che la soluzione esisteva: esisteva un’alternativa. All’infelicità; l’alternativa alla rassegnazione.
E a chi importa se, invece, metà di una parte del mondo (il quaranta-virgola-qualcosa percento per l’esattezza – non troppo esatta, in verità) avrebbe pensato che il “rassegnato” sarei io, rassegnato ad arcaici schemi di umanità? Stamattina mi sono comportato male nel cosmo, senza stupirmi di niente! Stamattina mi son svegliato, inspirazione, espirazione, ma non mi sono meravigliato. Non ho usato il piede sbagliato per poggiarmi a terra. Stamattina non mi sono lasciato infiammare da una nuova scintilla quel nero di petrolio che sentivo nello stomaco. Stamattina – e durante tutta la mia assenza – non mi sono indignato come ieri per l’articolo 18, per le giustificazioni infondate usate per sottrarre diritti vitali ai lavoratori, per gli attacchi alla dignità delle persone sostenuti senza il ritegno di accampare un qualche argomento; non mi sono indignato abbastanza per chi ritiene lo stipendio da operaio di mio padre e il suo diritto di essere tutelato dallo Statuto dei Lavoratori le cause della mia disoccupazione; forse non mi sono indignato nel giusto modo per chi ritiene il suo miraggio della pensione un privilegio, la causa di una crisi economica.

Ma, dopo tutto, penso di essermi risvegliato. Grazie a Russell – perché forse si tratta di eterogenesi dei fini per quanto lo riguarda, ma senza un giusto equilibrio col desiderio di giustizia non avrei ritrovato un po’ di felicità, e senza il metodo di lui non avrei ripreso a cercarla – e a Wislawa Szymborska. 
C’è bisogno di risvegliarsi a tarda sera a volte. C’è bisogno di passare il sabato sera in casa, a leggere strane cose mentre le nuvole, fuori, piovono uguali, perché «Il savoir-vivre cosmico, benché taccia sul nostro conto, tuttavia esige qualcosa da noi: un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal e una partecipazione stupita a questo gioco con regole ignote».

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