Stamattina mi sono
comportato male nel cosmo.
Ne sono quasi certo,
sicuro. Avrei potuto indubbiamente fare molto più di quel che non ho
fatto e omettere molte lunghe inutili pause; avrei potuto –
facciamo l’esempio – anche essere più felice, se non addirittura
contribuire a rendere felice qualcun altro. Ma non ho fatto nulla di
tutto questo. E, anzi, non mi sono nemmeno soffermato un momento a
chiedermi cosa di uguale o di diverso avrei potuto fare.
Ho scorso col dito
la pagina.
Oggi, per esempio – ma
anche per l’intero anno in cui sono mancato da questo “luogo” –
ho passato tutto il giorno senza stupirmi.
Eppure è così strano,
ripensandoci. Uno dopo l’altro avvenivano cambiamenti, perfino
nell’ambito ristretto di un batter d’occhio. Su un tavolo più
giovane, una mano più giovane a tagliare il pane di ieri
diversamente; le nuvole come non mai, la pioggia come non mai:
dopotutto cadevano gocce diverse da sempre.
Eppure avevo scordato,
stamattina, le parole di Russell? Quelle parole sulla felicità,
sulla felicità aperta e disponibile, a cui non pone limiti la
ragione. La felicità che ristagna e si perde nella tomba del “nulla
di nuovo sotto il sole”. La rigida, fredda convinzione che nulla
esiste di più razionale del flusso uguale, se non peggiore, del
tempo; il romanticismo titanico di abbandonarsi all’eroica e
gloriosa rassegnazione.
Eppure – dall’altro
lato – ho ricordato che la soluzione esisteva: esisteva
un’alternativa. All’infelicità; l’alternativa alla
rassegnazione.
E a chi importa se,
invece, metà di una parte del mondo (il quaranta-virgola-qualcosa
percento per l’esattezza – non troppo esatta, in verità) avrebbe
pensato che il “rassegnato” sarei io, rassegnato ad arcaici
schemi di umanità? Stamattina mi sono comportato male nel cosmo,
senza stupirmi di niente! Stamattina mi son svegliato,
inspirazione, espirazione, ma non mi sono meravigliato. Non ho usato
il piede sbagliato per poggiarmi a terra. Stamattina non mi sono
lasciato infiammare da una nuova scintilla quel nero di petrolio che
sentivo nello stomaco. Stamattina – e durante tutta la mia assenza
– non mi sono indignato come ieri per l’articolo 18, per le
giustificazioni infondate usate per sottrarre diritti vitali ai
lavoratori, per gli attacchi alla dignità delle persone sostenuti
senza il ritegno di accampare un qualche argomento; non mi sono
indignato abbastanza per chi ritiene lo stipendio da operaio di mio
padre e il suo diritto di essere tutelato dallo Statuto dei
Lavoratori le cause della mia disoccupazione; forse non mi sono
indignato nel giusto modo per chi ritiene il suo miraggio della
pensione un privilegio, la causa di una crisi economica.
Ma, dopo tutto, penso di
essermi risvegliato. Grazie a Russell – perché forse si tratta di
eterogenesi dei fini per quanto lo riguarda, ma senza un giusto
equilibrio col desiderio di giustizia non avrei ritrovato un po’ di
felicità, e senza il metodo di lui non avrei ripreso a cercarla – e a Wislawa Szymborska.
C’è
bisogno di risvegliarsi a tarda sera a volte. C’è bisogno di
passare il sabato sera in casa, a leggere strane cose mentre
le nuvole, fuori, piovono uguali, perché «Il savoir-vivre
cosmico, benché taccia sul nostro conto, tuttavia esige qualcosa da
noi: un po’ di attenzione, qualche frase di Pascal e una
partecipazione stupita a questo gioco con regole ignote».
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