giovedì 25 settembre 2014

Analisi di un conflitto

Forse è ciò che ci infiamma, forse ciò che ci tormenta. Certamente è ciò che ci accomuna.
Esiste in alcuni animali l’esigenza naturale di appartenere a un gruppo. Non c’è molto da obiettare in proposito, è un dato di fatto dell’evoluzione della specie. È empiricamente facile notare che molti animali vivono in branchi, colonie, “associazioni” essenziali per la loro sopravvivenza; diverso, però, è il fenomeno che caratterizza le specie animali più evolute, i mammiferi in particolare, che non solo si organizzano in gruppi, ma avvertono il bisogno di appartenervi.
Non è chiaro se in questi casi l’evoluzione abbia selezionato “l’adattamento migliore”, ovvero non è chiaro se questo desiderio di appartenenza che spesso impone di omologarsi a schemi naturali e aderire a concetti, credenze, stili di vita predeterminati dal gruppo per rispondere all’esigenza biologica di sentirsene parte giovi ai singoli. Ma qui interviene l’evoluzione culturale che non si accontenta del dato di fatto e che prova a discuterlo o spesso (come la colomba di Kant) a trascurarlo.
Dimostrazione che questa tendenza naturale esiste, ed esiste in ogni membro della specie – e della specie umana –, indipendentemente dalla sua volontà, è il conflitto che noi viviamo tra questo necessario nostro carattere ereditato dalla natura e l’altro – forse anch’esso largamente “biologico”: in sintesi, il conflitto fra il bisogno naturale di appartenere e quello individuale di astrarsi, distinguersi dal gruppo. In parte non accettiamo la rassegnazione e l’omologazione davanti alla realtà e ci piace pensare al titanismo eroico di Prometeo che, condannato sul Caucaso alla inevitabile sorte assegnatagli dagli dèi, tenta di strappare le catene che lo legano, a costo di strapparsi la carne dalle ossa; e pensiamo a lui come a un eroe debole che non accetta di aderire per forza a valori predeterminati, e riteniamo questo un valore!
Ma avvertiamo una duplice spinta.
Non vivremmo questo contrasto se fosse eliminabile a un cenno del capo.
D’altra parte, se lo viviamo, noi,  in misura maggiore, a volte anche nella malcelata forma della “disposizione degli intellettuali” a volerne sapere di più delle cose, esiste una ragione. C’è chi si astrae dagli altri reprimendo questo bisogno naturale di appartenere, ma credo che la scelta più ragionevole sia altra. Credo che sia segno di maturità arrivare a una certa visione della realtà, riconoscere la propria natura “comune” e affrontarla con l’altro bisogno connaturato di differenziarsi ed emergere in quanto individui, in quanto diversi e – perché no, è ipocrita negarlo – in quanto ci si pensa capaci e meritevoli di dare un contributo migliore. Ma qui s’innesta il conflitto dell’eterno ritorno di quella componente “animale” di voler fare gruppo e che a noi non basta affrontare con lo snobismo degli eletti che si ritirano nelle loro torri di avorio. È questo equilibrio precario che certi affrontano trascurando uno dei due aspetti a favore dell’altro, col risultato disastroso di un estrema omologazione senza critica o di uno sfrenato individualismo. Perché da una parte sta la negazione del nostro sentirsi diversi rispetto agli altri e dall’altra il disprezzo e la strumentalizzazione del prossimo. Diversamente, allorché sento il bisogno di allontanarmi in quanto individuo, non posso trascurare il richiamo del mio gruppo che si chiama “razza umana”.

Questo mio, nostro conflitto consiste in tutto. Allontanarci dal gruppo ci costa sofferenza, perché allontanarsi è antievolutivo. Ma noi vogliamo riservarci questo sacrosanto diritto: quello del riconoscere le proprie capacità distintive, di criticare gli schemi predefiniti. E allo stesso tempo, però, vogliamo sempre e comunque avere a mente il sacrosanto diritto dei “fratelli animali” a un’indefettibile dignità, senza trattarli con sufficienza. Ovviamente questa è solo una soluzione; una soluzione compromettente e faticosa che non risolve ma crea. Ma mi è impossibile rinunciare a questo conflitto dell’essere animali sociali che guardano oltre il gregge.

Simone Risoli


Nessun commento:

Posta un commento