mercoledì 23 ottobre 2013

C'era una volta lo Statuto Albertino. Il 138 e l'assedio alla Costituzione


C'era una volta lo Statuto Albertino del 1848.
Vennero, poi, il Fascismo, le leggi razziali, la guerra mondiale e quella civile: ma venne il tempo della Costituzione del 1948 e delle riforme, sorte dal sangue e dall'impeto di liberazione della Resistenza... fino a che, il Senato, oggi, ha approvato, silenziosamente, il disegno di legge di modifica dell'art. 138 della Costituzione, permettendo alla commissione dei c.d. "Saggi" di cambiare la seconda parte della Carta con estrema facilità.
Nello Statuto non si rinveniva una norma analoga all'art. 138; non era scritto da nessuna parte, insomma, che per modificare lo Statuto stesso fossero necessari procedure complesse, tempi determinati, doppio passaggio alla Camera e al Senato, un'eventuale approvazione “popolare” tramite referendum.
Con riferimento al periodo storico della sua genesi, non si trattava di una “cattiva” costituzione. Garantiva alcuni diritti fondamentali (per lo più di libertà e legati alla proprietà privata), assicurava lo Stato di diritto, limitando l'ingerenza dei poteri pubblici nelle libertà individuali; e lo faceva in tono solenne. Ma presentava due limiti insuperabili: una Costituzione concessa con atto di liberalità dal Sovrano, che con essa intendeva autolimitare un potere proprio e naturale, è pur sempre calata dall'alto motu misericordiae, revocabile in ogni momento; ma, soprattutto, lo Statuto era nelle mani del Parlamento, il quale poteva disporne arbitrariamente. La Legge permette, la legge vieta; la Legge concede diritti, la Legge li nega. In altre parole, lo Statuto Albertino era una costituzione fragile e flessibile, un gigante dai piedi d'argilla.
E, così, la maggioranza parlamentare che avesse voluto comprimere i diritti civili e politici di una certa minoranza, avrebbe potuto agire impunemente; il Parlamento che avesse voluto approvare leggi liberticide e “fascistissime”, che avesse voluto costituzionalizzare un'organizzazione fortemente gerarchizzata e anti-egualitaria dello Stato, avrebbe trovato la strada spianata. Chi avrebbe custodito i custodi? E, d'altra parte, che senso avrebbe avuto porsi il problema dei limiti del legislatore? In fondo, il legislatore era il fautore della legge e, cioè, il fautore del diritto e dei diritti. Nulla di anomalo se il legislatore avesse ordinato la deportazione e il confino per Ebrei, omosessuali e dissidenti: chi fabbrica il gioco, ne decide le regole e a tali regole bisogna attenersi.
Nello Statuto non si rinveniva alcuna norma analoga all'art. 138, nessun limite nelle forme e nei modi a cui si sarebbe dovuto attenere il Parlamento per modificare la Legge fondamentale.
L'esperienza di due conflitti mondiali e dei totalitarismi ha suggerito che un tale sviamento del diritto è inaccettabile. Le costituzioni liberali, le c.d. Costituzioni “flessibili”, si sono rivelate fallimentari.
I Costituenti del '48 avevano vissuto la frode del Fascismo che proprio per via parlamentare aveva, in piena regola, introdotto la censura, e che “democraticamente” si era voluto legittimare ottenendo consensi, previa l'eliminazione, per via legale (e non solo), degli oppositori. Le leggi razziali erano leggi.
La Costituzione Italiana del '48, come tutte le moderne costituzioni “rigide”, ha abbandonato il paradigma della assoluta disponibilità degli individui da parte dello Stato, anche (e soprattutto) attraverso l'azione all'interno delle regole del gioco, ovvero la possibilità che ai più alti livelli del potere (chi approva le leggi) siano tangibili alcuni «valori».
Per ottenere questo risultato le costituzioni moderne in quanto rigide si avvalgono, in genere, di due meccanismi: 1) riconoscere alle Costituzioni stesse un rango superiore alla legge ordinaria, cosicché ogni legge in contrasto con esse è illegittima (e dunque nulla); 2) prevedere dei procedimenti “aggravati” per la revisione costituzionale, ovvero procedure complesse e delicate di modifica, cosicché i principi costituzionali non siano alterati con semplicità.
I due punti sono strettamente connessi. Infatti, se fosse consentito al legislatore di modificare con legge ordinaria la Costituzione, essa non potrebbe imporsi sulla legge stessa al punto da determinarne l'illegittimità, ma ne sarebbe semplicemente superata. A chiusura del sistema costituzionale moderno, tutte le costituzioni rigide contemplano una forma di controllo o sindacato sulla legittimità, ovvero sulla conformità delle leggi al loro contenuto prescrittivo; funzione che la Costituzione del '48 attribuisce alla Corte Costituzionale.
L'art. 138 della Costituzione italiana introduce proprio quel limite procedurale alla revisione: un criterio che non è assoluto, unico e immodificabile, ma che deve garantire che qualunque maggioranza contingente non stravolga i principi costituzionali, avendone il potere. Se così fosse, si regredirebbe allo Statuto Albertino.
È evidente infatti che, facendo venir meno uno di questi pilastri, il sistema costituzionale precipita. E con esso la serie di contenuti, diritti inalienabili, garanzie che riconosce. Perché, di per sé, non è innovativa la solennità con cui il diritto alla libertà di pensiero o alla libertà personale o di riunione sono sanciti dalla Costituzione; se essi sono arbitrariamente e senza limiti soggetti alla volontà del Parlamento, restano insignificante lettera morta.
Ora, le regole procedurali non sono formalismi, ma assolvono proprio a quella funzione di garanzia, protezione, invito alla riflessione su materie delicate. Senza l'art. 138 l'enunciato “Tizio non può subire alcun esproprio ingiustificato” equivale in tutto all'affermazione “Oggi mi sono svegliato felice”: incerta, inefficace, vuota.
E se il Senato, attraverso la regola sulle modifiche della Costituzione, modifica la regola per la revisione costituzionale? Al di là del vizio logico della regola che consente di modificare se stessa (quello che accadeva con lo Statuto, ma che i Costituenti del '48 hanno voluto evitare lasciando l'ultima parola alla Consulta), la questione è di estrema concretezza. Se l'attuale legislatura, in maniera legittima, cioè conformemente alla procedura, modifica la regola che fissa proprio quella procedura, questo non è necessariamente un male in re ipsa. Perché, ad es., la regola potrebbe essere modificata nel senso di essere resa più rigida, prevedendo maggioranze più ampie (attualmente è richiesta la maggioranza dei due terzi o la maggioranza assoluta con eventuale referendum confermativo). Oppure potrebbe prevedere meccanismi alternativi di revisione, ad es. abbassando le maggioranze ma introducendo la consultazione referendaria necessaria; e così via. Ma è insufficiente l'affermazione che il 138 sarà solo parzialmente rivisto per consentire alcune riforme necessarie al Paese, perché la sua ratio è proprio precauzionale e modificarne il senso profondo significa aprire a un indebolimento delle garanzie costituzionali.
Tuttavia, se l'attuale legislatura (in particolare, il Senato) approva, come è avvenuto oggi, uno stravolgimento dell'art. 138 nel senso che una commissione di circa 40 parlamentari ha il potere di modificare la Costituzione, la rigidità della stessa viene meno. Ma, ancor più gravemente, con essa viene meno il sistema di garanzia dei diritti. Chi impedirà ai nostalgici dello Statuto Albertino di apportare modifiche significative e non propriamente democratiche alla Costituzione? In questo modo, si permette con assoluta facilità a una parte del Parlamento di disporre della Legge fondamentale.
Non intendo essere tacciato di “complottismo”, “retro-storicismo” o “grillismo”: intendo solo riportare una considerazione di fatto e non una tesi fanatica e acritica. Uno studente al primo anno di giurisprudenza sa che l'articolo 138 Cost. è l'architrave del costituzionalismo. Spetterà forse alla Corte Costituzionale sopperire per l'ennesima volta all'aberrazione del Parlamento?
A questo punto, è chiaro che formalmente l'art. 138 non è stato eliminato dalla nostra Costituzione, ma, se la modifica sarà approvata anche alla Camera dei Deputati (senza, peraltro, possibilità di ricorrere a referendum), la norma sarà sostanzialmente svuotata di significato, e la Costituzione e il suo seguito di libertà fondamentali fortemente compromesse.
Se questo rientri o meno nel disegno della grande maggioranza politica, è secondario; ma è politica la responsabilità dell'aver destabilizzato la Costituzione.


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