C'era una volta lo Statuto Albertino del 1848.
Vennero, poi, il Fascismo, le leggi razziali, la guerra mondiale e quella civile: ma venne il tempo della Costituzione del 1948 e delle riforme, sorte dal sangue e dall'impeto di liberazione della Resistenza... fino a che, il Senato, oggi, ha approvato, silenziosamente, il disegno di legge di modifica dell'art. 138 della Costituzione, permettendo alla commissione dei c.d. "Saggi" di cambiare la seconda parte della Carta con estrema facilità.
Nello Statuto non si rinveniva una norma analoga all'art. 138; non era scritto
da nessuna parte, insomma, che per modificare lo Statuto stesso
fossero necessari procedure complesse, tempi determinati, doppio
passaggio alla Camera e al Senato, un'eventuale approvazione
“popolare” tramite referendum.
Con riferimento al periodo storico
della sua genesi, non si trattava di una “cattiva” costituzione. Garantiva alcuni diritti fondamentali (per lo più di
libertà e legati alla proprietà privata), assicurava lo Stato di
diritto, limitando l'ingerenza dei poteri pubblici nelle libertà individuali; e lo faceva in tono solenne. Ma presentava due limiti
insuperabili: una Costituzione concessa con atto di liberalità dal
Sovrano, che con essa intendeva autolimitare un potere proprio e
naturale, è pur sempre calata dall'alto motu misericordiae,
revocabile in ogni momento; ma, soprattutto, lo Statuto era nelle
mani del Parlamento, il quale poteva disporne arbitrariamente. La
Legge permette, la legge vieta; la Legge concede diritti, la Legge li
nega. In altre parole, lo Statuto Albertino era una costituzione
fragile e flessibile, un gigante dai piedi d'argilla.
E, così, la maggioranza parlamentare
che avesse voluto comprimere i diritti civili e politici di una certa
minoranza, avrebbe potuto agire impunemente; il Parlamento che avesse
voluto approvare leggi liberticide e “fascistissime”, che avesse
voluto costituzionalizzare un'organizzazione fortemente gerarchizzata
e anti-egualitaria dello Stato, avrebbe trovato la strada spianata.
Chi avrebbe custodito i custodi? E, d'altra parte, che senso avrebbe
avuto porsi il problema dei limiti del legislatore? In fondo, il
legislatore era il fautore della legge e, cioè, il fautore del
diritto e dei diritti. Nulla di anomalo se il legislatore avesse
ordinato la deportazione e il confino per Ebrei, omosessuali e
dissidenti: chi fabbrica il gioco, ne decide le regole e a tali
regole bisogna attenersi.
Nello Statuto non si rinveniva alcuna
norma analoga all'art. 138, nessun limite nelle forme e nei modi a
cui si sarebbe dovuto attenere il Parlamento per modificare la Legge
fondamentale.
L'esperienza di due conflitti
mondiali e dei totalitarismi ha suggerito che un tale sviamento del
diritto è inaccettabile. Le costituzioni liberali, le c.d.
Costituzioni “flessibili”, si sono rivelate fallimentari.
I Costituenti del '48 avevano vissuto
la frode del Fascismo che proprio per via parlamentare aveva, in
piena regola, introdotto la censura, e che “democraticamente” si
era voluto legittimare ottenendo consensi, previa l'eliminazione, per
via legale (e non solo), degli oppositori. Le leggi razziali erano
leggi.
La Costituzione Italiana del '48, come
tutte le moderne costituzioni “rigide”, ha abbandonato il
paradigma della assoluta disponibilità degli individui da parte
dello Stato, anche (e soprattutto) attraverso l'azione all'interno
delle regole del gioco, ovvero
la possibilità che ai più alti livelli del potere (chi approva le
leggi) siano tangibili alcuni «valori».
Per ottenere questo risultato le
costituzioni moderne in quanto rigide si
avvalgono, in genere, di due meccanismi: 1) riconoscere alle
Costituzioni stesse un rango superiore alla legge ordinaria, cosicché
ogni legge in contrasto con esse è illegittima (e dunque nulla); 2)
prevedere dei procedimenti “aggravati” per la revisione
costituzionale, ovvero procedure complesse e delicate di
modifica, cosicché i principi costituzionali non siano alterati con
semplicità.
I due
punti sono strettamente connessi. Infatti, se fosse consentito al
legislatore di modificare con legge ordinaria la Costituzione, essa
non potrebbe imporsi sulla legge stessa al punto da determinarne
l'illegittimità, ma ne sarebbe semplicemente superata. A
chiusura del sistema costituzionale moderno, tutte le costituzioni
rigide contemplano una forma di controllo o sindacato sulla
legittimità, ovvero sulla conformità delle leggi al loro contenuto
prescrittivo; funzione che la Costituzione del '48 attribuisce alla
Corte Costituzionale.
L'art.
138 della Costituzione italiana introduce proprio quel limite
procedurale alla revisione: un criterio che non è assoluto, unico e
immodificabile, ma che deve garantire
che qualunque maggioranza contingente non stravolga i principi
costituzionali, avendone il potere. Se così fosse, si regredirebbe
allo Statuto Albertino.
È
evidente infatti che, facendo venir meno uno di questi pilastri, il
sistema costituzionale precipita. E con esso la serie di contenuti,
diritti inalienabili, garanzie che riconosce. Perché, di per sé,
non è innovativa la solennità con cui il diritto alla libertà di
pensiero o alla libertà personale o di riunione sono sanciti dalla
Costituzione; se essi sono arbitrariamente e senza limiti soggetti
alla volontà del Parlamento, restano insignificante lettera morta.
Ora,
le regole procedurali non sono formalismi, ma assolvono
proprio a quella funzione di garanzia, protezione, invito alla
riflessione su materie delicate.
Senza l'art. 138 l'enunciato “Tizio non può subire alcun esproprio
ingiustificato” equivale in tutto all'affermazione “Oggi mi sono
svegliato felice”: incerta,
inefficace, vuota.
E se
il Senato, attraverso la regola sulle modifiche della Costituzione,
modifica la regola per la revisione costituzionale? Al di là del
vizio logico della regola che consente di modificare se stessa
(quello che accadeva con lo Statuto, ma che i Costituenti del '48
hanno voluto evitare lasciando l'ultima parola alla Consulta), la
questione è di estrema concretezza. Se l'attuale legislatura, in
maniera legittima, cioè conformemente alla procedura, modifica
la regola che fissa proprio quella procedura, questo non è
necessariamente un male in re ipsa.
Perché, ad es., la regola potrebbe essere modificata nel senso di
essere resa più rigida, prevedendo maggioranze più ampie
(attualmente è richiesta la maggioranza dei due terzi o la
maggioranza assoluta con eventuale referendum
confermativo). Oppure potrebbe prevedere meccanismi alternativi di
revisione, ad es. abbassando le maggioranze ma introducendo la
consultazione referendaria necessaria; e così via. Ma è insufficiente l'affermazione che il 138 sarà solo parzialmente rivisto per consentire alcune riforme necessarie al Paese, perché la sua ratio è proprio precauzionale e modificarne il senso profondo significa aprire a un indebolimento delle garanzie costituzionali.
Tuttavia, se
l'attuale legislatura (in particolare, il Senato) approva, come è
avvenuto oggi, uno stravolgimento dell'art. 138 nel senso che una
commissione di circa 40 parlamentari ha il potere di modificare la
Costituzione, la rigidità della stessa viene meno. Ma, ancor più
gravemente, con essa viene meno il sistema di garanzia dei diritti. Chi impedirà ai nostalgici dello Statuto Albertino
di apportare modifiche significative e non propriamente democratiche
alla Costituzione? In questo modo, si permette con assoluta facilità
a una parte del Parlamento di disporre della Legge fondamentale.
Non
intendo essere tacciato di “complottismo”, “retro-storicismo”
o “grillismo”: intendo solo riportare una considerazione di
fatto e non una tesi fanatica e acritica. Uno studente al primo anno di giurisprudenza sa che
l'articolo 138 Cost. è l'architrave del costituzionalismo. Spetterà forse alla Corte Costituzionale sopperire per l'ennesima volta all'aberrazione del Parlamento?
A questo punto, è chiaro che
formalmente l'art. 138 non è stato eliminato dalla nostra
Costituzione, ma, se la modifica sarà approvata anche alla Camera
dei Deputati (senza, peraltro, possibilità di ricorrere a
referendum), la norma sarà sostanzialmente svuotata di
significato, e la Costituzione e il suo seguito di libertà
fondamentali fortemente compromesse.
Se questo rientri o meno nel disegno della grande maggioranza politica, è secondario; ma è politica la responsabilità dell'aver destabilizzato la Costituzione.
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