sabato 30 ottobre 2021

L'esperienza dell'altro

Alla condivisione con gli altri del proprio spazio e del proprio tempo con gli altri avevo dedicato, tempo fa, addirittura un blog chiamato "Animali sociali". Sotto la spinta dell'idealismo avevo creduto di affrontare (e risolvere) un dilemma che coincide con l'esistenza umana: vivere nel proprio corpo, come individui, con le proprie idee, i propri ideali, pensieri, ma all'interno della società e, quindi, sempre e inevitabilmente in mezzo agli altri. Il dilemma rimane, la soluzione va ancora cercata o, meglio, non esiste. Questo essere al contempo individui e animali inseriti e calati nel mondo insieme agli altri è una realtà con cui fare i conti, non un a costruzione astratta.

In questa realtà, l'amore è forse l'esperienza dell'altro più travolgente e dolorosa, contesa fra attimi di smarrimento in cui si perde il controllo di sé per cercare l'altro e momenti di completamento in cui rinuncia all'egoismo del sé per sperimentare in modo completo quella partecipazione e condivisione con l'altro.

La conoscenza di sé e l'amore per l'altro
Secondo Freud, l'amore è sempre un atto di egocentrismo. Si ama o dice di amare qualcosa o qualcuno per affermare di amare se stessi. L'altro è un'immagine riflessa di sé: si ama l'altro perché corrisponde a un'immagine o a un'ideale in cui ci si rispecchia.
Questa ricostruzione cinica dell'amore ha senz'altro un suo fondamento biologico. Ma non esaurisce ogni forma di amore. Se volessi essere ideal-romantico, potrei dire "non è l'amore vero". Con un po' più di realismo mi limito a dire che non è l'amore inteso come reale interesse per l'altro. Questo amore, infatti (l'interesse per l'altro, dove inter-esse, in latino, vorrebbe dire stare in mezzo all'altro, partecipareessere coinvolto nella sua vita), questo amore è, parafrasando Recalcati, amare le imperfezioni dell'altro, le sue anomalie, le sue turbe mentali, la sua scarsa igiene, riconoscere «per me e solo per me, le tue anomalie sono gemme che solo tu possiedi: amare significa "io amo tutto il mondo in cui ci sei tu"»
Detto con una formula che mi sembra efficace, amare è distinguere fra il mondo con te e il mondo senza di te.
Questa considerazione porta a scardinare alcune convinzioni sociali. Amare - in un'ottica egoistica che si finge moderna - significherebbe non sacrificare mai la propria libertà o la propria persona per l'altro. Questa convinzione è già logicamente fallace. Si fonda cioè su un concetto di libertà smisurata, smodata e irrealizzabile: libertà - scriverebbe Gaber - non è il volo di un moscone. Chi ama l'altro, cerca liberamente nell'altro e con l'altro il suo e il proprio bene. Chi ama l'altra sceglie liberamente di fare esperienza del mondo con l'altro. Chi sceglie di amare, sceglie liberamente il mondo con te. Il che non significa appiattirsi sull'altro, ma sapere e volere distinguere il mondo prima di te dal mondo dopo di te. E non c'è niente di più libero di una libera scelta consapevole.

La completezza e l'incompletezza
Si fanno quindi strada due diversi modi di intendere l'esperienza dell'altro. Dell'altro voglio sperimentare tutto, dell'altro voglio conoscere il mondo, anzi: voglio rileggere il mondo attraverso gli occhi di me insieme all'altro. In una meravigliosa canzone, Guccini recita:

Vorrei tornare nei posti dove son stato,
Spiegarti di quanto tutto sia poi diverso
E per farmi da te spiegare cos'è cambiato
E quale sapore nuovo abbia l'universo.

Il sapore nuovo non è un'allucinazione dell'amore che fa vedere in modo annebbiato il mondo prima di te; il sapore nuovo è sperimentare quelle stesse cose con un altro sguardo, lo sguardo del mondo con te o dopo di te, che è uno sguardo a due sulle cose.

Secondo il famoso mito degli androgini di Platone, questa esperienza (l'esperienza dell'amore) è l'esperienza del completamento di sé. Stando a Platone, infatti, in origine sarebbero esistiti degli esseri mitologici, gli androgini appunto, per metà uomini e per metà donne, cuciti tra loro a formare un unico essere completo in sé stesso. L'invidia degli dèi però, che vedevano in questi esseri completi e felici una minaccia per l'ordine divino (senza paura e insoddisfazione, senza incompletezza non può esserci potere e supremazia), li portò a disgiungerli, a disunirli, a separarli fisicamente, dando origine alla stirpe umana come oggi la conosciamo. Da allora, secondo Platone, ciascuno vaga per il mondo alla ricerca della parte complementare. L'amore, l'esperienza dell'altro è la ricerca del completamento di sé; l'individuo, di per sé, è incompleto e necessita dell'altro per dare sfericità alla propria esistenza.

L'animale morente
Totalmente opposta sembra la prospettiva dello scrittore Philip Roth, uno dei più grandi autori contemporanei scomparsi di recente. Nel romanzo di Roth L'animale morente, l'amore emerge come atto di rottura della completezza di sé. L'essere umano solo è completo in se stesso; trova in sé quello di cui ha bisogno: sa bastare a se stesso. La condivisione, la partecipazione dell'altro rompono questo equilibrio: l'altro introduce una dimensione di mancanza, di incertezza. Rispetto all'altro si è esposti: esposti alla sua promessa di amore, esposti ai suoi ripensamenti, esposti alle sue ferite. In sintesi, esposti al fuoco amico. Per dirlo con una poesia di Dylan Thomas (una delle mie preferite):
Amico da nemico io ti sfido
Tu con monete false nella borsa degli occhi,
Tu amico mio dall'aria accattivante
Che per vera mi rifilasti la menzogna
Mentre spiavi bronzeo i miei più gelosi pensieri.

L'amore espone al rischio (come l'amicizia). Il rischio della promessa che sottintende lo spergiuro e il cambiamento, il rischio della dipendenza.

L'amore, in questa prospettiva, fa sperimentare l'incompletezza, quella da cui lo stare con sé ci preservava.


Conclusioni provvisorie

Il senso di completezza e incompletezza, nel rapporto con l'altro, coesistono. La psicanalisi, ossia l'analisi consapevole di sé, ci insegna però che non dobbiamo lasciare i nostri comportamenti al caso. Che non dobbiamo subire passivamente e che dobbiamo cercare di dare un ordine alle nostre spinte inconsce. Capire le cause dei nostri impulsi e orientarli verso azioni e pensieri consapevoli. Se l'esperienza dell'altro non è un semplice subire la spinta verso il completamento, verso l'accompagnarsi all'altro, ma diventa una scelta consapevole e volontaria di chi intende vivere collettivamente il mondo, ecco che allora si recupera quella forma di amore veramente cosciente. L'interesse reale per l'altro. Un amore che nasce come casualità, come spinta istintiva, ma che diventa la scelta volontà di condividere la propria esistenza con l'altro. 

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