venerdì 2 novembre 2012

A Pier Paolo Pasolini



Me ne vado, ti lascio nella sera
che, benché triste, così dolce scende
per noi viventi, con la luce cerea 

che al quartiere in penombra si
rapprende.

***
Per il segno che c'è rimasto,
non ripeterci quanto ti spiace
non ci chiedere più come è andata,
tanto lo sai che è una storia sbagliata


Questo non è un epicedio, un memoriale, un omaggio in senso stretto; e non è nemmeno una biografia, una sintesi delle opere, una ricostruzione storica.
Pier Paolo Pasolini nacque a Bologna nel 1922...
Un inizio del genere, da enciclopedia o da saggio che, beninteso, gli riservano lo spazio che s'è meritato, non rende il giusto a Pier Paolo Pasolini.
Discutere delle dicerie che circolavano sul suo conto, dei tentativi di sabotarne la carica morale e culturale rivoluzionaria, ricorrere – come, ahimè, sto rischiando – a una predica postuma, a una “retorica su Pasolini” è fuori luogo. Come è fuori luogo il senso di pietà e di commemorazione confinato in un giorno all'anno.
Singolarmente, secondo chi alimenta speranze superstiziose, comunemente, per chi osserva i fatti come tali e cerca di ricavarne un supporto per costruire i propri postulati, la morte di Pasolini avvenne il 2 novembre del 1975. Le circostanze misteriose, le giustificazioni tardive, la denuncia dello stesso Pasolini al clima di “fascismo culturale” che lo avrebbero ucciso sono elementi su cui si deve fare chiarezza. «Una storia mica male insabbiata, una storia sbagliata».
Il motivo per cui ambiziosamente colgo l'occasione per ricordare a me stesso Pasolini mi è chiarissimo.
Pasolini avrebbe potuto salvare l'umanità? Consentitemi questa espressione molto poetica ed estremamente labile. L'atteggiamento intellettuale di Pasolini, se fosse attecchito in Italia, avrebbe salvato l'individuo dal male dell'insipienza. Ma per salvarsi è davvero necessario voler essere salvati. Si obbietterà che un intellettuale non può cambiare lo stato dei fatti, né può, per di più, un intellettuale particolare, un intellettuale che i detrattori con falso eufemismo definivano “singolare”, “appariscente” e i più diretti oppositori consideravano “osceno”, “eversivo”. Storia diversa per gente normale, storia comune per gente speciale.
Nella sua vasta produzione, abbozzando il suo ultimo romanzo incompiuto, Petrolio, Pasolini ha scritto la summa dell'essere umano attraverso lo scandalo, la trasformazione, la debolezza, l'infezione, l'ambivalenza; ha tentato di superare il Novecento letterario, aggiungendo alla ricerca del capolavoro lo spirito umanitario dell'interesse civile, scrivendo per volontà e per desiderio.
Il senso della storia era un tormento che individuava nel popolo il soggetto in grado di percepirne l'essenza, nel «grande concerto di scalpelli»: solo il popolo ne ha un sentimento. Il popolo d'altra parte, questa collettività fisica e ideale dai tratti del Marxismo e del Vangelo, è l'origine della contraddizione. Muta ammirazione, idealizzazione, abbandono all'estetica o spinta al cambiamento, lotta di classe, liberazione dal giogo oppressivo, dalle catene inghirlandate dall'arte e dalla morale comune? Con le parole del poeta: 
«Lo scandalo del contraddirmi, / dell'essere / con te e contro te; con te nel core, / in luce, contro te nelle buie viscere; // del mio paterno stato traditore / - nel pensiero, in un'ombra di azione - / mi so ad esso attaccato nel calore // degli istinti, dell'estetica passione; / attratto da una vita proletaria / a te anteriore, è per me religione // la sua allegria, non la millenaria / sua lotta: la sua natura, non la sua / coscienza: è la forza originaria // dell'uomo, che nell'atto s'è perduta, / a darle l'ebbrezza della nostalgia, / una luce poetica: ed altro più // io non so dirne, che non sia / giusto ma non sincero, astratto / amore, non accorante simpatia...». (Le ceneri di Gramsci)
Un ingente contributo all'affrancamento culturale, percepito in forte connessione con la possibile emancipazione fisica e concreta degli individui, fu la risposta implicita di Pasolini a quanti con le maniere borghesi della doppia morale, con la moderatezza esteriore che celava l'intolleranza e esprimeva il conformismo come valore imperante dell'Italia del dopoguerra, si opponevano alla libertà di pensiero.
Così, in una celebre intervista di Enzo Biagi:

B. Che cosa ci trova di così anormale (l'argomento è "il successo" che Pasolini ha definito "altra faccia della persecuzione", N.d.A.)? 
P. Perché la televisione è un medium di massa, e come tale non può che mercificarci e alienarci. 
B. Ma oltre ai formaggini e al resto, come lei ha scritto una volta, adesso questo mezzo porta le sue parole: noi stiamo discutendo tutti con grande libertà, senza alcuna inibizione. 
P. No, non è vero. 
B. Si, è vero, lei può dire tutto quel che vuole. 
P. No, non posso dire tutto quello che voglio. 
B. Lo dica!
P. No, non potrei perché sarei accusato di vilipendio, uno dei tanti vilipendi del codice fascista italiano. Quindi in realtà non posso dire tutto. E poi, a parte questo, oggettivamente, di fronte all'ingenuità o alla sprovvedutezza di certi ascoltatori, io stesso non vorrei dire certe cose. Quindi io mi autocensuro. Comunque, a parte questo, è proprio il medium di massa in sé: nel momento in cui qualcuno ci ascolta dal video, ha verso di noi un rapporto da inferiore a superiore, che è un rapporto spaventosamente antidemocratico. 

Non è stato forse Pasolini un (inaudito) profeta del nostro tempo?

(Simone Risoli)

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